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Che effetto fanno mille cavalli nella schiena? Mille HP pronti a scatenarsi quando si schiaccia il pedale del gas? Se siete curiosi di saperlo, c’è qui la risposta per voi perché ho avuto la fortuna di sperimentarlo di persona. I mille cavalli sono quelli dell’Audi R18, la regina dell’Endurance. L’ultima discendente di quelle Audi prototipo che hanno scritto la storia del motorsport a ruote coperte vincendo 13 volte la 24 Ore di Le Mans in 18 anni, dal 1999 al 2016. Regina senza trono in questo caso, perché la R18 ultima versione non è riuscita nel 2016 a vincere né Le Mans né il mondiale Endurance. È stata battuta dalla “cugina” Porsche 919. Ma questa R18 passerà alla storia perché è stato l’ultimo e più avveniristico Prototipo Audi mai costruito. E anche il più potente di tutti, con i suoi mille cavalli.

L’Audi R18 versione 2016 in azione

Come sapete, l’Audi si è ritirata dalle corse Endurance per gli strascichi del dieselgate. Ma prima di mandare al museo la sua R18, Audi ha permesso a alcuni giornalisti, fra cui il sottoscritto, di mettersi al volante per l’ultima volta del “mostro”. Un privilegio veramente più unico che raro visto che soltanto nove piloti in tutto il mondo possono vantarsi di averla guidata. Calarci nell’abitacolo di questa “bestia” ci ha permesso di provare sulla nostra pelle il brivido che i Prototipi ibridi ultima generazione da mille cavalli riescono a suscitare. Una sensazione che non ha eguali.

Guardando la R18 quieta nel suo box prima del test, ci è venuta in mente la querelle che divide gli appassionati di corse: sono più potenti le F1 o i Prototipi del mondiale Endurance? E quali sono più complicate? Prima di dare una risposta, va spiegato quanto sono diverse fra loro queste auto da corsa. Il regolamento negli ultimi anni è andato nella stessa direzione in F1 e nell’Endurance: è stato dato spazio ai motori ibridi, metà termici e metà elettrici, per aiutare lo sviluppo di questa tecnologia per le automobili stradali del futuro. Ma le differenze finiscono qui. Mentre in F1 tutto è rigidamente omologato, nell’Endurance c’è molta più creatività progettuale. Un esempio? In F1 i motori devono essere obbligatoriamente uguali nel frazionamento e nella cilindrata (V6 di 1,6 litri) e sono identici sia sistemi di recupero energia (Kers ed Ers), sia la quantità di kilowatt che possono immagazzinare a ogni giro. Anche il consumo di carburante è rigidamente imposto: 105 kg di benzina per la corsa, (pari a 140 litri circa) con un consumo istantaneo prefissato di 100 kg/ora.

In posa vicino all’Audi R18 prima del test

Nell’Endurance, invece, ciascun concorrente può scegliere tipo di motore, frazionamento e cilindrata; pure il sistema di accumulo dell’energia energia (volano, batterie o supercondensatori) è libero. Così ogni Costruttore ha fatto la propria scelta univoca. Porsche ha optato per un V4 turbo benzina di piccola cilindrata (2 litri), Toyota per un V6 turbo sempre a benzina ma di grossa cubatura, Audi invece ha perseguito fedelmente la scelta del motore a gasolio optando per un V6 4 litri. Fino a un paio d’anni fa era anche diversa fra i team la scelta della quantità di energia da recuperare per alimentare i motori elettrici. Poi dal 2016, con questa R18, Audi ha cambiato filosofia: ha puntato, come gli avversari, sul massimo recupero di kilowatt (entrando nella classe “6 megajoule”, nome che viene dall’unità di misura dell’energia recuperata) sacrificando la potenza massima del motore termico.

L’Audi R18 deve usare meno gasolio dei rivali a benzina e questo è uno svantaggio per lei. Nel regolamento le Mans la quantità di carburante da usare in gara non è uguale per tutti, a differenza della F1. Per equivalere le prestazioni fra auto così diverse fra loro, si impongono serbatoi più piccoli o più grandi in funzione del propulsore scelto (benzina o diesel), e dell’energia elettrica recuperata. L’equivalenza funziona bene, molto meglio che in F1 perché nell’Endurance non c’è una Mercedes che domina e gli altri stanno a guardare, ma Porsche, Audi e Toyota hanno prestazioni praticamente pari, nonostante scelte tecniche radicalmente differenti. Infatti nel mondiale 2016 si sono dati ampiamente battaglia.

Noi tester per un giorno scopriamo com’è l’Audi R18

Mentre giro attorno alla R18 nuda e priva di carrozzeria osservando la tecnologia sottopelle attendo di salirci a bordo, la risposta alla domanda iniziale (quali fra F1 e Prototipi sono più complicate e quali più potenti) mi diventa chiara. La tecnologia ibrida ha complicato le cose per tutti nel motorsport, ma in definitiva sono più complessi i Prototipi delle F1 ibride. Perché ci sono più elementi in ballo: i Prototipi hanno quattro ruote motrici invece che due, e poi hanno tetto, porte e fari a led a complicare la vita a piloti e progettisti rispetto a una monoposto. E non sempre è facile combinare questi elementi perché insieme funzionino perfettamente. E a livello di potenza? Vincono ancora i Prototipi. Ma di poco. Le F1 versione 2016 superavano di poco i 900 cavalli (forse la Mercedes arrivava a 950 in assetto da qualifica) mentre l’Audi R18 tocca davvero il limite dei mille cavalli: 514 cv dal V6 turbodiesel 4 litri e 476 cv dal motore elettrico che sfrutta l’energia recuperata dai freni anteriori.

E sono cavalli maledettamente “veri”. Ve lo garantisco! Li ho sentiti tutti quanti nella schiena quando ho schiacciato il gas a fondo. Le cose sono cambiate nel 2017, perché le F1 hanno ricevuto un lieve incremento motoristico che le porterà a sfiorare la soglia dei mille cavalli mentre i Prototipi verranno leggermente parzializzati. Ecco perché l’Audi R18 può a ragione vantarsi di essere andata in pensione con l’etichetta di auto da corsa più potente del mondo. Che difficilmente qualcuno le toglierà.

Treluyer, pilota ufficiale Audi, mi spiega il volante

Se siete arrivati a leggere fin qui vorrete sapete che effetto fa guidare l’auto da corsa più potente del mondo. In una parola: Sconvolgente! Fin dall’inizio, quando si tratta di calarsi a bordo. La R18 ha un abitacolo veramente minuscolo. Il comfort dei piloti è stato sacrificato all’aerodinamica. Il Prototipo, visto dal davanti, è profilatissimo. L’abitacolo è una vera e propria cellula. Mi chiedo come si faccia a starci dentro. Più che una porta d’ingresso, c’è una botola. “È talmente stretta -dice Benoit Treluyer, uno dei tre piloti dell’Audi n.7 che ho guidato – che in corsa nel cambio pilota perdiamo più tempo dei nostri avversari. Ma i progettisti ci hanno avvisato che il vantaggio aerodinamico era tale che dovevamo arrangiarci col comfort!”.

Salire a bordo è un’acrobazia: bisogna poggiare il sedere sulla fiancata, poi ruotare di lato e infilare prima uno poi l’altra gamba nell’abitacolo e sgusciare dentro “spinti” da un meccanico. “L’ingresso è più stretto del vecchio modello -ci spiega il dr. Ullrich, il capo della squadra corse Audi – perché abbiamo cambiato la porta. Prima ruotava di lato, ora si apre verso l’alto ma per via della cerniera non si solleva del tutto quindi l’apertura del vano è parziale”.

La difficile operazione di salita a bordo

La R18 è pur sempre un’auto elettrificata, quindi bisogna fare attenzione alle scosse. Prima ancora di salire a bordo (o scendere) si devono controllare le spie di sicurezza del sistema elettrico. Un’auto ibrida immagazzina energia elettrica ad alto voltaggio che può provocare pericolose scosse. Sulla R18 ci sono due spie esterne e due nell’abitacolo. Prima di salire o scendere, bisogna accertarsi che siano verdi, indice che è tutto OK, Se sono rosse non bisogna assolutamente toccare la vettura, pena una forte scossa. Per lo stesso motivo, è rigorosamente proibito nel salire o scendere, mettere un piede nell’auto o tenere l’altro a terra. Così facendo, si genera un corto circuito che potrebbe provocare una scossa. Il modo per evitarlo è di fare un piccolo salto uscendo dall’abitacolo, così che i piedi restino per un attimo sollevati da terra senza toccare terreno o vettura nello stesso istante. È per questo che si vedono spesso i piloti saltare acrobaticamente fuori dalle F1 o dai Prototipi quando si fermano. Non è esibizionismo di un fisico atletico, ma sicurezza!

Seduti a bordo, si è talmente incassati fra protezione testa laterale, tetto, porta e volante che sono costretto a tenere le braccia ripiegate fino quasi al petto. E non capita solo a me che sono taglia XL, ma anche ai piloti ufficiali Audi. Treluyer, Fassler, Duval sono dei “torelli” fisicamente parlando. Ci stanno stretti come dentro la R18. Mi chiedo come facciano a guidare. In realtà abbiamo scoperto che è più facile di quel che sembra. Quando si accende il motore (leva frizione tirata e pulsante start sul volante) ci si dimentica della scomodità. E ci si inebria del piacere di essere a bordo di un’auto leggendaria. L’unica cosa che manca alla R18 è un rombo degno di questo nome: il sommesso borbottìo del V6 turbodiesel è veramente indegno di un’auto da corsa. Sembra un trattore smarmittato. È inutile: diesel, ibridi, turbo e compagnia bella non avranno mai quel sound affascinante e fragoroso che è proprio solo di un bel V8 (o V12) aspirato a scarichi aperti che gira ad alto regime! Chi si ricorda delle ultime Ferrari prima dell’avvento degli ibridi, o del Matra V12 Anni ‘70 sa di cosa parlo.

Nell’abitacolo dell’Audi R18

Partire non è proibitivo: bisogna soltanto trovare il bite point (il punto di stacco della frizione) rilasciando la leva circa a metà finché l’auto non si muove e non supera i 10-15 km/h; poi mollarla del tutto. Altrimenti entra in funzione l’antistallo che tiene il motore acceso e la procedura va ripetuta. I 18 pulsanti sul volante e i vari pomelli con molteplici funzioni mi avevano intimorito, quasi come il manualetto d’uso che mi avevano dato. Ma i tecnici mi avevano poi spiegato di fregarmene e preoccuparmi soltanto di due: del tasto rosso dell’accensione motore e di quello blu della radio. Gli unici di cui avrei dovuto saper trovare la posizione anche alla cieca; gli altri non erano importanti per un test così breve. Persino Treluyer mi aveva confessato di non conoscere tutte le funzioni di tutti i comandi e che di solito ripassava l’uso del volante leggendo il manualetto d’uso prima di ogni gara!

Una volta partiti, la R18 cambia volto: mentre da fermo mi incuteva timore, si rivela sorprendentemente maneggevole e quasi facile in marcia. Il boss Ullrich era stato chiaro: “Andrai in pista con gomme calde grazie alle termocoperte, per cui la macchina avrà subito molto grip. Poi dopo due o tre giri, siccome l’asfalto della pista è freddissimo e in parte umido perché ci sono 3 gradi, le gomme si raffredderanno progressivamente. E quindi perderai aderenza. Fai attenzione! Vogliamo la nostra baby integra ai box per esporla da domani al nostro museo…”. Più che una raccomandazione, un ordine perentorio. Che mi mette ansia. Di solito in questi test si inizia a ritmo blando poi via via che si prende confidenza con l’auto si forza il ritmo fidando sulle gomme che si scaldano. Ma qui non succederà. Come comportarsi?

Ecco cosa si vede dall’abitacolo dell’Audi R18: quasi niente! (Il posto guida è a destra)

Scelgo un approccio più soft, accelerando progressivamente giro dopo giro. La cosa più difficile è trovare la sincronia con il cambio 6 marce al volante. Il motore sale di giri talmente in fretta che le spie del cambio marcia brillano di continuo segnalandomi che è ora di mettere il rapporto superiore rima che io sia pronto a farlo. “Colpa dell’ibrido – mi spiegherà dopo Ullrich – bisogna farci l’abitudine; il motore elettrico aiuta a raggiungere molto più in fretta il regime massimo”.

Man mano che ci prendo confidenza scopro che l’Audi R18 si rivela meno spaventosa del previsto. Sorprendentemente agile – vista la mole – nelle curvette da prima e seconda marcia della pista di Neuburg, e mi consente anche di “tirare le staccate”. La frenata è potentissima: arrivo in un caso a bloccare le gomme anteriori e dall’abitacolo, poiché il rumore del motore è scarso, sento distintamente il fischio del pneumatico che slitta e vedo il fumino bianco salire dalla feritoia sopra la carrozzeria. La trasmissione della potenza è trasparente per il pilota: nel senso che non c’è modo di distinguere quando la spinta viene dai cavalli termici o da quelli “elettrici”. Si capisce solo che sono tanti!

Quando sul rettifilo affondo il gas inserendo in successione 3° e 4° marcia, il calcio nella schiena che provo è impressionante. Da una parte mi tirano le cinture, dall’altra mi schiaccia il motore! Effetto della spaventosa coppia motrice. Soltanto allora mi rendo conto di quanto influiscano i cavalli “elettrici” per spingere più rapidamente in avanti un’auto da corsa a propulsore ibrido. Mi ricordo che una volta avevo letto che Lauda quando provò la prima McLaren-Porsche a motore turbo (roba di oltre trent’anni fa) descrisse che accelerava talmente in fretta da cambiare la conformazione delle piste: i rettifili diventavano più corti! Quest’Audi ha più cavalli e molta più coppia di quelle vecchie F1 turbo di trent’anni fa che erano soltanto più scorbutiche.

Sapete che effetto fa quando un migliaio di cavalli termici ed elettrici e altrettanti newtonmetri di coppia arrivano tutti insieme all’improvviso? Sembra di piombare nel film “Star Wars”. Avete presente quando la nave stellare di Harrison Ford/Ian Solo accelera per entrare nell’iperspazio a velocità fotonica e le stelle, per effetto della velocità, da fisse che sono diventano delle strisce? Ecco, la sensazione quando si scatenano i mille cavalli dell’Audi R18, è più o meno quella…

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