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C’è una persona nel team Mercedes che porta sulle spalle il carico delle maggiori responsabilità per le sconfitte patite nel 2018. Si chiama James Vowles ed è il tattico della squadra. Cioé l’ingegnere al muretto box che elabora le strategie di corsa di Hamilton. È l’uomo che ha deciso di non fermare Hamilton al pit stop in Austria quando è uscita la virtual safety car al 13° giro. “Pensavamo che sarebbe durata almeno due giri e volevamo prima vedere cosa facevano gli altri”, così la squadra ha motivato la decisione. Il team a parole difende Vowles ma c’è da scommetterci che sarà sotto stretta osservazione d’ora in poi. Finora lo stratega della Mercedes ha commesso tre errori imperdonabili trasformatisi in tre sonore sconfitte. A Melbourne, in Cina e in Austria. Tutte e tre le volte ha sottostimato la comparsa della virtual safety car in gara evitando di richiamare ai box Hamilton e facendo perdere all’inglese per due volte su tre la prima posizione e quasi certamente la vittoria in tutti i casi. Ma siccome in F1 si vince e si sbaglia tutti assieme – come sostiene Arrivabene – diciamo pure che gli errori tattici della Mercedes nel 2018 non sono soltanto di Vowles, ma responsabilità di tutto il team perché la scelta viene presa con l’accordo degli altri ingegneri.

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Però è la dimostrazione che questo campionato F1 2018 si sta rivelando il mondiale degli errori terribili. Dall’inizio dell’anno è stato tutto un alternarsi di alti e bassi clamorosi fra Ferrari e Mercedes, fra Vettel e Hamilton, come non se ne erano mai visti prima. Distacchi di 15/17 punti azzerati di colpo e classifiche sovvertite di gara in gara. Questo perché tanti errori terribili hanno portato i leader delle due squadre a perdere intere manciate di punti da un GP all’altro. A decidere finora il campionato non sono state tanto le performance delle monoposto, quanto una serie di sbagli clamorosi che hanno scombussolato gare e classifiche. Errori tattici del muretto box, ingenuità inspiegabili, errori di guida dei piloti, guasti a ripetizione che un tempo non accadevano mai. È toccato alla Ferrari ma ne ha fatto le spese soprattutto la Mercedes che per la prima volta in Austria da due GP a questa parte ha collezionato un doppio k.o. Era da 46 gare, due anni interi, che non si ritiravano entrambe. L’elenco è lungo.

La Mercedes ha mostrato in più occasioni una debolezza tattica inconcepibile per una squadra così rigorosa nelle sue programmazioni scrupolose. Per tre volte su nove corse hanno sbagliato clamorosamente la strategia sotto virtual safety car: alla prima corsa in Australia, al GP Cina e poi nell’ultimo GP in Austria. Quando si sono dimenticati di richiamare ai box Hamilton per cambiare le gomme in regime di VSC nonostante avessero mezzo giro a bassa velocità, cioé almeno un minuto di tempo, per pensarci su e rifare le loro strategie. In tutti i casi una “dormita” clamorosa in una fase cruciale di neutralizzazione della gara che ha compromesso la vittoria e favorito clamorosamente Vettel e la Ferrari. Lasciamo stare che poi il guasto sulla W09 al Red Bull Ring abbia compromesso la corsa: vittoria e podio però se ne erano comunque già andati in fumo per quell’errore tattico dopo 13 giri.

Altra debolezza lato Mercedes è la (scarsa) visione tattica della gara che dimostra il suo pilota. Fortissimo quando guida, molto meno quando parliamo di visione di gara. Quante volte quest’anno abbiamo sentito Hamilton chiedere smarrito via radio al suo box: “Spiegatemi perché da primo che ero, sono diventato improvvisamente quarto? Che è successo??”. Questi dialoghi via radio di Lewis dimostrano una cosa inequivocabile: che il quattro volte iridato inglese non ha il senso della corsa. È il suo punto debole più grave. Lewis possiede una velocità pura ineguagliabile sul giro secco e sul passo gara. Però non ha la visione della corsa. Non si rende conto di quel che succede attorno a lui in pista. E sopratutto davanti a lui. È capace di pestare sul gas, ma spesso deve farsi “guidare” dai box sul ritmo di gara e sulle tattiche perché è incerto sulle decisioni da prendere.

Gli manca quella dote unica e speciale, per un pilota, di “leggere la corsa”, di capire cosa sta succedendo in gara davanti e dietro di te, elaborare in fretta con la mente una strategia di corsa a medio termine in funzione di come si sta sviluppando il GP e seguirla con determinazione per ottenere il massimo risultato possibile. Quella dote che gli addetti ai lavori, nel gergo delle corse, definiscono la capacità di fare in modo che la gara “ti venga incontro”. Che per un pilota vuol dire mettersi nelle condizioni ideali per prevedere l’evoluzione degli eventi e trarne vantaggio.

È un’arte in cui per esempio eccelleva Alonso nei suoi anni in Ferrari. Quante corse ha vinto Fernando perché ha saputo aspettare e attaccare nel momento giusto? Prima di Fernando il migliore di tutti nell’utilizzare questa tecnica – che richiede freddezza, velocità e intelligenza tattica – era stato Alain Prost. Che non a caso si era guadagnato il soprannome di “professore”. Perché sapeva sempre cosa fare al momento giusto. A Hamilton manca proprio questo. E rischia di pagarne care le conseguenze in un mondiale così serrato dove i rivali, come insegna il GP d’Austria, cominciano ad essere due o tre e non uno soltanto.

Ma anche Vettel non si è dimostrato esente dagli errori terribili. Ne abbiamo avuto la dimostrazione in tre degli ultimi sei Gran Premi. Fra Azerbaijan, Francia e Austria, per una serie di errori di guida o per troppa foga, Vettel ha sprecato malamente tre occasioni d’oro. In Azerbaijan era secondo e per attaccare con eccesso di foga Bottas negli ultimi giri è andato lungo e ha perso il podio finendo quarto. Poi c’è stato l’errore al Castellet al via: quella frenata ritardata e la tamponata, sempre a Bottas, che gli è costata un’ala rotta e 5 secondi di penalità. Da potenziale secondo a quinto al traguardo. Al Red Bull Ring, invece, la leggerezza compiuta in qualifica di non dare strada a Sainz al termine del giro veloce gli è valsa, come ricordiamo bene, la retrocessione in terza fila e probabilmente la vittoria. Perché se fosse partito davanti a Verstappen, per come è andata la gara e per come la Ferrari si è dimostrata “gentile” sulle gomme, lì davanti sarebbe rimasto. E avrebbe vinto.

In totale fanno un terzo, un quarto e un quinto posto invece che potenzialmente due secondi posti e una vittoria. Con i “se” e i “ma” non si fa la storia, ma viene l’amaro in bocca pensando che Vettel ha lasciato per strada in quelle tre gare la bellezza di 24 punti. Che avrebbero dato un significato ben diverso all’attuale classifica iridata. L’equivalente di una vittoria di vantaggio. Che voleva dire correre le prossime corse estive senza l’affanno costante di dover battere a tutti i costi l’avversario. Affrontare i GP con la confortante consapevolezza di poter ragionare prima di affondare il colpo. Invece no.

Poi ci sono gli errori tecnici. Che pure gli ingegneri Mercedes, un tempo infallibili, hanno cominciato a commettere. Fra sbagli di progettazione ed errori sul controllo qualità, anche i superpotenti V6 anglo-tedeschi, che a inizio stagione erano solidi come il granito, ora sono diventati fragili come cristallo. L’ultimo doppio ritiro delle due Mercedes in gara era avvenuto ben due anni fa: nel maggio 2016, nel famoso GP di Spagna. Ma quella volta fu lo scontro Hamilton-Rosberg a causare il doppio KO. Non fu una defaillance tecnica come stavolta. Un caso più unico che raro che però, sommato al ritardo dell’introduzione dei motori “evo 2” per difetti di affidabilità e al surriscaldamento accusato da Bottas in Francia getta ombre e preoccupazioni sulle monoposto tedesche un tempo resistenti come un carrarmato e ora improvvisamente meno affidabili. Soffrono il caldo, patiscono la gara in scia, accusano difetti di raffreddamento, distruggono le gomme in pochi giri perché gli assetti sono troppo estremi. Tutti problemi ai quali un tempo le Mercedes risultavano immuni.

Per cui, mai come in questa calda fase del mondiale prima della pausa estiva – tre gare in 4 settimane in Inghilterra, Germania e Ungheria – viene buona la vecchia regola del maestro di strategie, il professor Alain Prost. Che diceva che i mondiali si vincono non a suon di vittorie, ma di punti “pesanti”. Cioé quei piazzamenti di cui far tesoro quando proprio non si riesce a vincere e che a fine stagione faranno la differenza. Sono gli stessi punti “pesanti” conquistati in Austria che hanno riportato Vettel e la Ferrari in testa al campionato. D’ora in poi Seb e Kimi non dovranno lasciarne per strada nemmeno uno. Prima che la Mercedes si riorganizzi.

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