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È stato un lungo inseguimento. Durato quattro anni e mezzo. Ma forse, adesso, la Ferrari sembra aver finalmente vinto la guerra dei motori contro Mercedes in F1. La netta vittoria di Vettel a Montreal, su una pista dove motore e trazione sono gli aspetti più importanti per la velocità sul giro, dimostra che la Ferrari ha raggiunto e per adesso superato in fatto di prestazioni il propulsore tedesco. Certo, tutto può ancora tornare in discussione perché la stagione è lunga e gli ingegneri non smettono mai di lavorare sui motori per evolverli. Però mai a nostra memoria dall’avvento della Formula Ibrida il V6 di Maranello era apparso così evidentemente superiore a quello Mercedes nel week end di un Gran Premio.


Fino a ieri in prova i tedeschi un margine l’avevano sempre. Quando sembravano in difficoltà, all’improvviso schiacciavano il famoso “bottone magico”, quell’insieme di procedure fra mappatura e lubrificazione che riusciva a spremere, anche se per pochi giri, una manciata di cavalli in più dal V6 termico, e potevano fare la differenza. Quante volte è successo nella Q2 che i ferraristi fossero a ridosso delle frecce d’argento e poi, passati alla Q3, il divario si amplificava? Oppure che in corsa nel momento topico di una rimonta Hamilton all’improvviso cominciasse a disporre di una potenza supplementare così che i suoi tempi sul giro e la sua velocità in rettifilo di colpo cambiavano vistosamente? Invece da un po’ di tempo questo non succede più. Fateci caso: ormai di bottone magico Mercedes si è messo di parlarne. Sono tre o quattro gare che le frecce d’Argento non riescono più ad esprimere più in Q3 quel boost che prima faceva la differenza. Un salto in avanti di 9 decimi dalla Q2 alla Q3 a pari mescola, quello che Hamilton ha guadagnato nel momento chiave delle qualifiche in Australia, dopo Melbourne non si sono più visti. C’è stato i miglioramento di 2 decimi in Bahrain, 3 in Cina. Poca roba, spiegabile con la maggior determinazione e aggressività nella guida. Non con una iniezione di cavalli extra frutto del bottone magico. Vero che il divario Q2/Q3 in certe gare successive, come Spagna, Baku e Montreal, sia stato compreso fra i 7 decimi e il secondo pieno, ma in questo caso il gap di tempi era dovuto sorpatutto alla gomma più soffice. Perché ormai èd a diversi GP che i piloti Mercedes preferiscono affrontare la Q2 (e la partenza) con gomma più dura riservando la mescola più morbida alla Q3. Per quello che i tmepi scendono.

Di questa supremazia del motore Ferrari Maranello se n’è resa conto. Prova ne sia che Arrivabene ha voluto mandare sul podio di Montreal a ritirare il trofeo del team, proprio il capo dei motoristi Ferrari in pista, Nicola Bariselli. Una scelta che simboleggia il lavoro del settore che si è rivelato quello decisivo per la gara di Montreal. Non saranno stati soltanto i cavalli o i Nm di coppia in più del motore 062 Evo “seconda generazione” che ha usato Vettel a farlo vincere, ma una lieve differenza l’avranno fatta, no? Altrimenti come si spiega che Raikkonen che aveva il vecchio motore sia in prova che in gara fosse costantemente più lento di Seb pur senza problemi apparenti di assetto?

Ferrari per ora ha vinto la guerra dei motori – temporanea, sia ben chiaro – su tutti e due i fronti: sia quello delle prestazioni che quello delle tempistiche di alternanza dei propulsori. Maranello aveva pianificato da settimane l’introduzione del motore “generazione 2” a Montreal. Il secondo motore stagionale, su cui erano state portate modifiche per incrementare la potenza. E l’avvicendamento è riuscito perfettamente. Non è stato invece fatto sulla macchina di Raikkonen perché Kimi aveva dovuto già cambiare motore in Spagna causa un guasto. Il finlandese avrà questo propulsore evoluto solo al termine del chilometraggio della sua attuale power unit, e cioé attorno a Monza.

      

Viceversa, l’avvicendamento motori è fallito sulla Mercedes che alla vigilia di Montreal ha scoperto un difetto di qualità sui nuovi motori “generazione 2” che avrebbero dovuto introdurre anche loro a Montreal. Questo ha costretto Hamilton e Bottas a correre con motori “stanchi” con 7 GP sulle spalle. Che avevano oltre 5000 km di usura e quindi non erano certo performanti come da “freschi”. Buon per loro che non si sono rotti per aver superato il chilometraggio previsto. I guai li ha subìti più Lewis, che in corsa ha accusato un surriscaldamento che l’ha costretto ad anticipare il pit stop per consentire ai suoi meccanici di aprire velocemente dei passaggi d’aria supplementari che aumentassero il raffreddamento. Con tanti saluti alla strategia, perché la sosta anticipata ha condizionato la sua gara relegandolo al quinto posto.

La cosa importante però è che questa crisi motoristica è un fatto nuovo e molto grave per Mercedes i cui motori sono sempre stati il fiore il punto forte della squadra. A differenza di Maranello la cui fabbrica di motori è adiacente al reparto corse, Mercedes fa le cose molto più in grande. Per i propri V6 ibridi i tedeschi hanno realizzato una fabbrica apposita, a Brixworth, a nord di Silverstone, a circa 40 km distanza dalla sede del team. Era un vecchio insediamento industriale che Mercedes vent’anni fa ha comprato da Ilmor, l’azienda di motori fondata da Mario Illien, il motorista svizzero partner McLaren e che realizzava propulsori Mercedes per IndyCar. In quella fabbrica che ora appartiene alla AMG ci lavorano oltre 700 persone, più del doppio dei motoristi Ferrari. Una sede dalla tecnologia avanzatissima, con locali asettici, dove niente è lasciato al caso tanto che i tecnici lavorano in ambiente pressurizzato indossando tute antipolvere per eliminare ogni taccia di impurità dai motori F1. Eppure nonostante i soldi, il personale e il gigantismo del marchio tedesco, i loro motori – che sono sempre stati il fiore all’occhiello del team – stanno segnando il passo rispetto al V6 turbo ibrido made in Maranello.

Questo passo falso Mercedes nel controllo qualità dei motori “evoluzione 2” non è stato un infortunio occasionale, ma la conseguenza di un episodio di grave inefficienza interna. Altrimenti Toto Wolff non si sarebbe arrabbiato in quel modo minacciando possibili conseguenze per i colpevoli di questi errori. Ora la palla sta alla Ferrari. Come in una partita di calcio quando si segna grazie a un autogol degli avversari, bisogna approfittare dell’insperato vantaggio e insistere ad attaccare. Sta a Maranello cavalcare l’improvvisa debolezza motoristica Mercedes. Perché può sfalsare tute le loro strategie rigidamente pianificate: di sviluppo tecnico e di rotazione dei propulsori per il campionato. Il momento in cui i tedeschi diventano fragili è proprio quello: quando i loro schemi vengono sconvolti da un imprevisto. Non sono così bravi a improvvisare nuove strategie come noi italiani. Approfittiamone.

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