Vittoria rubata oppure vittoria di Pirro? Il gioco di parole con quell’espressione storica viene bene. Conoscete la vicenda, no? Pirro era il re dell’Epiro e duemila anni fa vinse una battaglia contro i romani, ma a prezzo di tali perdite umane nel proprio esercito che il trionfo si rivelò controproducente perché decimò le sue truppe che non poterono continuare la guerra. Da allora il modo di dire “vittoria di Pirro” sta a indicare proprio una vittoria ottenuta con sacrifici troppo grandi. Visto che uno dei tre giudici che hanno emesso la sentenza è proprio Emanuele Pirro, mai espressione fu più appropriata per la vicenda Vettel-Hamilton di Montreal. Perché la vittoria “sportiva” del Pirro giudice rischia di trasformarsi in un boomerang mediatico contro la Fia, contro il concetto di sano agonismo che è insito nel motorsport e contro l’intera credibilità della F1. Perché ha mortificato lo spettacolo e ha danneggiato l’agonismo della categoria, imponendo il dominio della rigidità assoluta dell’applicazione delle regole (stupide) a dispetto dell’interpretazione delle norme che dovrebbe essere l’attività primaria di un giudice,
I motivi per cui i giudici della Fia hanno penalizzato di 5” Vettel sono arcinoti: il ferrarista è stato accusato di aver infranto l’articolo 38.1 del codice sportivo, abbandonando la pista alla curva 3 (per un “dritto”), e rientrando in pista alla curva 4 in modo “non sicuro” costringendo un’altra auto (Hamilton) fuori pista.
Ok, diciamo che la regola c’è ed è stata applicata rigidamente. Alla lettera. Ma allora perché in mille altri casi (ricordo in passato un episodio con Hamilton e uno con Verstappen) si è lasciato correre? Perché spesso in F1 ci sono due pesi e due misure? Qual è il sottile confine che divide l’agonismo dalla scorrettezza? E se è giusto punire quest’ultimo comportamento, perché bisogna essere intolleranti anche con il primo? Anche se a volte i giudici sono gli stessi?
Ecco la chiave è questa: la presenza dei giudici. Nella questioni di legge civile in giudici servono, prima che a far applicare le norme, ad interpretarle. Nel senso che con la loro esperienza devono dirimere i delicati dubbi legati alla volontarietà o meno di un gesto criminoso. Perché solo uno dei due comportamenti va punito con intransigenza e severità. Il confine tra episodio “volontario”, cioé provocato con determinazione, ed episodio “colposo” (cioé involontario) è sottile e va compreso per bene. Per questo motivo nella giuria degli steward, oltre ai tre commissari Fia, c’è un ex pilota (in questo caso Emanuele Pirro) perché deve far capire ai giudici, che non hanno mai guidato auto da corsa, cosa passa per la testa di un pilota in quel momento, quel che materialmente può fare per evitare una situazione di rischio e quello che invece è impossibile compiere al volante. Ebbene, secondo me in questa occasione in giudici non hanno analizzato a fondo la cosa e interpretato quel che è successo in pista ma si sono limitati a interpretare alla lettera la regola. Vettel per loro è rientrato tagliando la strada ad Hamilton quindi va punito. Fine del discorso. Ma è davvero così?
Dai mille replay e dalle inquadrature della camera car della Ferrari si vede che Vettel, dopo essere andato dritto nell’erba, “rema” per controllare la macchina sul terreno erboso e scivoloso; poi dà una sterzata decisa verso destra al momento del rientro sull’asfalto. I giudici della Fia, con esagerata tempestività, hanno punito quella sterzata considerandola intenzionale. Una palese manovra d’ostruzione secondo loro. Ma soltanto Vettel in cuor suo conosce la verità. Nessun altro può stabilire con sicurezza se quella sterzata finale per allargare la traiettoria al rientro in pista e chiudere la traiettoria a Hamilton Vettel l’abbia fatta apposta, oppure se stesse cercando di controllare una vettura che era incontrollabile sull’erba e stava partendo in sovrasterzo appena ritrovato il grip dell’asfalto.
Da appassionato di corse mi viene però da fare qualche considerazione. Primo, è vero che la regola di non creare situazione di pericolo al rientro in pista c’è, ma sta anche a chi è dietro prestare attenzione. Da che mondo esistono le corse, nell’istinto dei piloti – quando commettono un lieve errore o un “lungo” – c’è il cercare di non agevolare il rivale che li sta incalzando. Mica si può dire: oops, sono arrivato “lungo”, prego si accomodi che io aspetto i suoi comodi. Il lieve errore o l’ostruzione veniale sono permessi e tollerati dal buon senso. Mica Vettel ha fatto sbattere contro il muro Hamilton!
Secondo: i giudici della Fia sono stati troppo precipitosi ad emettere la sentenza. Hanno impiegato esattamente 12 minuti. Al giro 48 il fattaccio, al giro 58 la penalità. Quando mai un tribunale attribuisce la colpevolezza a un imputato senza prima ascoltare la sua difesa e la sua testimonianza? La vicenda era troppo delicata e richiedeva un supplemento d’indagine. Bisognava aspettare la fine corsa e sentire da Vettel le sue ragioni, come si fa spesso, invece che decidere a tavolino. Magari analizzare telemetria e tracciati della centralina della Ferrari n.5 per capire l’angolo di sterzo del volante, la pressione sul pedale del gas e così via invece di basarsi soltanto sulla moviola televisiva che ti mostra cosa è successo ma non il perché. E non ti fa capire se c’è stata intenzionalità o meno. Mi dispiace che un pilota di esperienza come Emanuele Pirro, che era fra i giudici della Fia, non abbia fatto comprendere agli altri steward questo concetto.
In conclusione, se i giudici applicano le regole alla lettera senza distinguere fra “fatto volontario” ed “episodio colposo”, se non interpretano la situazione del momento tenendo conto di mille fattori che possono influenzare il comportamento di un pilota, che ci stanno a fare? Allora basterebbe mettere dei sensori sulle righe bianche che delimitano la pista e ogni volta che una ruota tocca la riga, la macchina viene penalizzata. Senza scusanti o giustificazioni. Ma la logica dice che se nella stanza del tribunale sportivo del GP la Fia mette degli uomini e non un computer collegato ai sensori, lo fa perché usino la discrezione nel giudizio. Interpretino le regole e la volontarietà del fallo, invece che applicarle rigidamente e basta.
Alla fine la parola più giusta l’ha detta Mario Andretti, la cui esperienza e preparazione è indiscutibile. Su Twitter dopo la gara, commentando la decisione, ha scritto: “Credo che la funzione degli steward sia di penalizzare le manovre pericolose volontarie, non quella di punire errori onesti che sono il frutto dell’agonismo”. In nome di questo principio, la Fia ha assolto tante volte per le sue esagerazioni Max Verstappen. E anche Hamilton. PE ha lasciato correre i zigzag di Ricciardo in rettifilo a 330 km/h per difendersi da Bottas. Perché allora punire Vettel?
Da semplice appassionato dico che è brutto quando il verdetto sportivo viene modificato/sovvertito da un organismo che decide attorno ad un tavolo, pur se composto da esperti. Vorrei tuttavia solo fare un’osservazione, all’insegna di un’onesta’ intellettuale che deve contraddistinguere sportivi e tifosi. E cioè: se le due macchine coinvolte fossero state invertite, si sarebbero dette e scritte le medesime cose?