A Roma imperversa in questi giorni la Formula E: io ho avuto la possibilità più unica che rara di guidare una di queste monoposto in anteprima. Qualche giorno fa a Magione. E nemmeno una monoposto qualsiasi, ma una delle più vincenti: la DS Techeetah oro e nera di Vergne e Lotterer. La stessa macchina che aveva vinto la gara in Cina, prima di Roma. Sì, proprio una delle nuove monoposto 2° generazione con motori potenziati a 200 kilowatt (270 cavalli), batteria di maggior capacità e tanto di Halo sopra l’abitacolo stile F1. Un test esclusivo e speciale che mi ha lasciato però sensazioni contrastanti. Provo a riassumervele in breve, mentre un articolo più lungo e dettagliato uscirà la prossima settimana su Autosprint.
La cosa che mi ha impressionato di più non è l’accelerazione, ma la velocità nel più assoluto silenzio. Mi spiego meglio: le nuove Formula E raggiungono una velocità massima teorica di 280 km orari. Teorica perché in realtà queste vetture sono autolimitate a circa 230 km/h. Io nel rettifilo di Magione ho raggiunto i 215 km/h prima della staccata: non male considerando che ho fatto solo cinque giri e non avevo certo confidenza con quest’auto. Ma la cosa importante non è la velocità in sé, quanto il fatto che si raggiunge nel silenzio più assoluto. Si sente solo il fruscio dell’aria contro il casco. Si va forte senza sentire rumore. Strano, no? Io per esempio non mi accorgevo di andare forte. Non avevo punti di riferimento e mancava il rumore a darmi la controprova della velocità. È una sensazione strana.
Ripensandoci, ho messo a fuoco una spiegazione. Da che mondo è mondo, il nostro cervello è abituato a generare la sensazione della velocità abbinando i due sensi più importanti: vista e udito. Su un’auto da corsa o su una sportiva molto potente noi vediamo l’orizzonte scorrere sempre più in fretta e sentiamo il rombo del motore aumentare sempre di più. Poi magari aggiungeteci le vibrazioni che genera il motore e le forze fisiche che si trasmettono al corpo tramite le cinture che si stringono quando accelerate, e il gioco è fatto. Dall’insieme delle sensazioni dei due sensi fondamentali – vista e udito (se si aggiunge anche il tatto, cioé le vibrazioni, tanto meglio) il nostro cervello ricava la percezione che stiamo andando più veloci. Ma se manca l’apporto di uno di questi sensi – nella fattispecie l’udito – il nostro cervello si disorienta. Non capisce più che sensazioni trasmettere al corpo. È quello che ho sperimentato al volante della Formula E. Non mi rendevo conto che stavo andando sempre più veloce in rettifilo perché non sentivo il rombo del motore. Quando manca uno dei sensi, le tue sensazioni sono limitate: è il ricordo più grande che mi resta da questo test.
Per il resto, la Formula E non mi ha lasciato quella sensazione di WOW!, di grande potenza e aggressività dirompenti come tante altre macchine da corsa che ho avuto la fortuna di guidare nella mia esperienza di giornalista-tester. Per esempio ricorderò sempre i brividi che mi trasmise l’Audi R15 di Le Mans, un turbodiesel V10 da 5,7 litri che aveva quasi mille newtonmetri di coppia. Quando affondavi il gas le cinture ti sfondavano il petto e con le dita dovevi aggrapparti al volante per non perdere la presa, tanto era brutale l’accelerazione di quella barchetta. Pure più della R18 che aveva un motore di cilindrata minore e meno cavalli. In tempi più recenti mi ha entusiasmato la cattiveria della Lambo Huracan SuperTrofeo, che aveva un rombo talmente deflagrante, grazie al suo motore V10, che ti faceva vibrare ogni poro della pelle. Trasmetteva potenza e brutalità da ogni parte. La Formula E non è così. È scattante, frena forte grazie a pinze e dischi in carbonio, permette di staccare sotto le curve ed è pure abbastanza rapida nell’inserimento. Ma le manca il sound per sembrare ”cattiva”. C’è poco da fare. Ai giovani piacerà pure, ma a me un’auto da corsa priva di un vero rombo non eccita. È come ascoltare musica rock in sottofondo a volume bassissimo.
Quindi una delusione? Assolutamente no. Soltanto che è un’auto diversa. Le emozioni, il piacere della guida vengono da qualcos’altro che la pura guida. Per esempio, ha una violenta accelerazione. Ho provato a fare una partenza da fermo con la procedura del launch che usano i piloti al via. Abbastanza semplice. Come il decollo di un aereo. Si tira a fondo il paddle centrale di sinistra senza freno, si schiaccia a fondo l’acceleratore, la macchina resta ferma come fosse frenata, e quando appare la scritta sul cruscotto “launch ready” si rilascia il paddle senza togliere ovviamente il piede dal gas. E la DS Techeetah scatta come una fionda da fermo. Accelera da 0 a 100 km/h in poco più di 3”, il doppio di una F1 che impiega 1,5/1,7 secondi, ma questa ha pur sempre 270 cavalli contro i mille di una F1 che pesa anche trecento kg di meno. Che volete di più?
La cosa più complicata è imparare i numerosi comandi al volante. L’ingegnere francese che mi ha fatto da tutor in questo test, mi aveva tranquillizzato: «Vedrai, la guida è semplice: ha due soli pedali, gas e freno, e niente cambio. Marcia avanti soltanto. Come un kart». Poi però ha passato una buona mezz’ora a spiegarmi l’uso dei vari comandi al volante. Ci sono tre pomelli rotanti, otto pulsanti, due rotelle a scatto. Da lì si regola tutto, dalle mappature di erogazione potenza del motore, alla ripartizione della frenata, al comportamento dei differenziali. Mille combinazioni diverse. Il controllo di tutti questi parametri alla guida è la vera difficoltà della Formula E. Che in questo momento, dopo la Formula 1 e forse la Toyota TS050 del WEC è l’auto da corsa più complicata del mondo.
Viste la relativa facilità nel guidarla, uno si chiede: ma ai piloti professionisti piacerà davvero, abituati a ben altra cattiveria rombante? La mia conclusione è questa: per i piloti la vera sfida non è portarla al limite in pista, cosa relativamente facile visti i tempi simili sul giro che fanno tutti, ma correre ruota a ruota con altre 21 macchine che vanno tutte uguali e gestire l’energia e i mille parametri di funzionamento che devi cambiare curva dopo curva. Quella sì che è una grande difficoltà. Quando guidi, sei costretto a regolare continuamente qualcosa: la ripartizione della frenata, la taratura dei differenziali, le mappature, il rigeneratore di energia. I piloti di Formula E modificano continuamente qualcosa sul volante curva per curva per ottimizzare la frenata e l’inserimento in curva ogni volta che girano lo sterzo. Pensate che stress per il pilota dover compiere freneticamente diverse operazioni con i pollici sul volante mentre con un occhio deve leggere i valori delle regolazioni sul display, con l’altro tenere d’occhio la macchina davanti a pochi centimetri cercando un varco per il sorpasso e con un terzo occhio dovrebbe sorvegliare l’avversario che ti segue alle spalle per chiudergli ogni traiettoria nel caso tenti un sorpasso. Dopo 45 minuti di gara c’è da scendere stressati! La vera sfida per i piloti di Formula E è questa: fare tutte queste cose insieme senza andare a muro. Basta distrarsi un attimo… Infatti spesso sbattono duro.
Ah, dimenticavo: guidando la Formula E ho provato anche l’ebbrezza dell’Halo, l’arco di protezione dell’abitacolo. Che dire? Non limita la visibilità come si può immaginare. Ti ci abitui in fretta e non è ostacola lo sguardo. È invece molto d’impiccio per salire a bordo. Bisogna fare manovre da contorsionisti per entrare nell’abitacolo con quel traliccio ulteriore lì sopra. Sulla bruttezza non si discute. Ma in nome della sicurezza tutto è lecito.