Torno da Le Mans dopo una sfacchinata durata 96 ore nelle quali ho dormito probabilmente soltanto una decina di ore in quattro giorni. Ma con la consapevolezza di aver assistito a un momento davvero storico. La prima vittoria Ferrari nei Prototipi a cinquant’anni dall’ultima apparizione in gara sulla Sarthe. La strepitosa pole position di Fuoco con la 499P a 50 anni da quella analoga di Merzario-Pace con la 312P. L’incredibile successo di Calado, Pier Guidi e Giovinazzi, sognato, atteso e realizzato dopo una girandola di emozioni in gara fatta di gioie, ansie, paure, timori e sollievo finale.
La Ferrari non vinceva a Le Mans dal 1965 ma soprattutto due italiani con un’auto italiana ci hanno trionfato soltanto una volta: nel 1963 quando Bandini e Scarfiotti portarono al successo la Ferrari 250P. Basta questo per parlare di impresa leggendaria? Sì, basta eccome. Ma voglio raccontarvi non soltanto perché questa gara in particolare è stata mitica e perché la Ferrari ha vinto, ma perché La 24 Ore di le Mans va considerata la più bella corsa del mondo.
PERCHE’ LA FERRARI HA VINTO
Il motivo è semplice. Perché la 499P ha marciato come un orologio. Mai (o quasi mai) un problema. Per vincere a Le Mans non basta andare più forte di tutti, come ha fatto la Ferrari che in termini di passo era in grado di rifilare dai 2 ai 3 decimi al giro alle Toyota. Ma bisogna soprattutto andare forte tenendosi lontani dai guai. Sperare che non accadano problemi, imprevisti oppure avarie. Guadagnare mezzo secondo al giro sul tuo avversario durante uno stint di un’ora, che fa un totale di appena sette secondi, non serve a niente se poi ne perdi quindici di colpo andando dritto in una curva per eccesso di foga. O un minuto ai box se s’inceppa qualcosa al pit stop.
La Rossa n.51 ha tagliato il traguardo dopo 4660 chilometri in cui ha perso appena tre minuti e mezzo per gli imprevisti della gara, sempre in agguato in una 24 ore. Due minuti sprecati per un dritto alla prima chicane, verso mezzanotte, a causa di un doppiato che ha fatto finire Pier Guidi nella ghiaia. E il resto per quel problema elettrico che non voleva far riaccendere la 499P dopo i due pit stop nelle ore finali di corsa.
Il primo problema è stato il classico inconveniente di gara: le macchine più lente sono un’ostacolo imprevedibile e può capitare di farsi danneggiare nel doppiarle perché non ti vedono, ti chiudono e non ti danno strada, oppure frenano quando meno te l’aspetti e non riesci ad evitarle. Pier Guidi a mezzanotte è stato bravo a cavarsi d’impaccio ed uscire dalla ghiaia dove era finito senza perdere un intero giro di corsa. Perché a Le Mans la chiave è proprio questa: non farsi doppiare dal leader. Se perdi uno, due o persino tre minuti dal leader di gara c’è sempre il margine per recuperare. Perché alla prima safety car che esce per incidente il plotone viene raggruppato e il distacco si azzera. A Le Mans capita spesso.
Anzi, siccome la pista è lunga, ce ne sono addirittura tre di safety car e quest’anno erano addirittura cambiate le regole per mettere tutti sullo stesso piano ed evitare che le tre safety car sfavorissero qualcuno dividendo il gruppo (Gimmi Bruni ci perse una Le Mans nel 2015 per questo). L’importante però è non farsi doppiare. Perché se perdi il giro sul leader poi non lo recuperi più, a meno che il tuo avversario non subisca un grave imprevisto che lo attardi.
Pier Guidi nell’episodio del dritto alla prima chicane è stato bravo a ripartire dopo aver perso due minuti nell’usciere dalla ghiaia, ma senza farsi doppiare. Buona sorte, vero, ma anche grande lungimiranza del pilota. Perché ha sfruttato il vantaggio che si era furbamente costruito poco tempo prima sotto la pioggia verso le 22.30 quando prima con le slick sul bagnato poi con le rain nei giri successivi, guidando da maestro, aveva rifilato in quattro giri quasi un minuto e mezzo a Toyota e Peugeot. Lì si era costruito quel “tesoretto” di vantaggio che gli è venuto utile poi quando ha subito l’imprevisto del dritto in ghiaia.
Il secondo guaio Ferrari è stato il doppio spegnimento al pit stop negli ultimi cruciali rifornimenti del mattino. Si è trattato di una strana avaria mai verificatasi prima. In certe situazioni al pit stop, forse per eccessivo calore o forse per altri motivi, la centralina della 499P va in protezione, si “impalla” e il motore non si riaccende. A Pier Guidi è capitato la prima volta alle 10.32 del mattino quando aveva più di un minuto di vantaggio sulle Toyota. Per un minuto buono, dopo aver fatto benzina, la Rossa n.51 non ha voluto saperne di riaccendersi. Attimi di ansia e di suspence. Lo spettro terribile di un ritiro quando il successo pareva fra le mani.
Poi in Ferrari hanno fatto quello che facciamo anche noi quando s’impalla il computer e resettiamo tutto con una combinazione di tasti Ctrl-Alt-Delete. Nel loro caso la procedura è molto più sofisticata e complessa che schiacciare tre tasti; porta via quasi un minuto, ma dopo il reset elettronico la macchina è ripartita regolarmente ed il pilota è tornato in pista. Probabilmente ha aiutato il fatto di avere il pilota “giusto” in quel momento a bordo: Pier Guidi, che per fortuna è anche un ingegnere, possiede il raziocinio e il sangue freddo che gli viene dalla sua formazione scientifica, non si è impanicato e guidato via radio ha effettuato la procedura corretta.
I SUCCESSI SI COSTRUISCONO ANCHE AI BOX
La 24 Ore di Le Mans si vince anche stando fermi meno possibile ai box. Il segreto è tenersi lontano da guai e imprevisti che ti costringano a lunghe riparazioni. La Ferrari n.51 deve la vittoria, oltre alla guida perfetta dei suoi tre piloti, proprio al fatto che ha sprecato nei rifornimenti e cambio gomme meno tempo possibile. Senza dover svolgere interventi onerosi di riparazioni.
Qualche numero ci aiuta a capirlo: la Rossa n.51 ha effettuato 30 pit stop, uno in meno della Toyota n.8 che ne ha fatti 31. Complessivamente è stata ferma ai box 47 minuti e 58 secondi su 24 ore di corsa. La Toyota n.8 di Buemi-Hartley-Hirakawa ha fatto addirittura meglio di lei fermandosi ai pit per appena 44’20”. E pure la Cadillac arrivata a podio, che ha pittato appena 29 volte per complessi 46’25”.
L’altra Ferrari, la n.50 di Fuoco, invece ha perso ai box ben 1 ora, 13 minuti e 55 secondi a causa della rottura del radiatore forato da una pietra che le è costato cinque giri di distacco. Per questo la troviamo soltanto al quinto posto in classifica quando aveva il ritmo per fare il podio. E invece le Peugeot, che erano state in testa nelle ore serali, hanno sprecato per riparazioni varie ai pit 1 ora e 14’ la prima e addirittura 2 ore e 20’ la seconda.
Le Porsche poi hanno subito un’ecatombe: guasti, incidenti e problemi di ogni genere hanno decimato l’armata tedesca che si era presentata con quattro vetture 963. La meglio classificata, la n.5 di Makowiecki ha perso ai box 1 ora e 31 minuti, la 6 di Lotterer e Vanthoor è stata ferma complessivamente 1 ora e 59 minuti e addirittura la n.38 del team Jota di Da Costa, che nelle prime ore sembrava in grado di insidiare la Ferrari, per una serie di disavventure, incidenti e riparazioni ha passato ai box ben 6 ore e 45 minuti su 24 ore di gara! Ecco perché si dice che l’affidabilità complessiva della macchina (ma anche del pilota che non deve strafare) è il primo requisito per vincere la 24 Ore di Le Mans.
IL REBUS GOMME
Quello che allunga il tempo di arresto ai box è il cambio gomme, che mediamente richiede una dozzina di secondi in più rispetto al semplice rifornimento. Perciò ogni team fa la propria strategia: allungare gli stint con le stesse gomme fa risparmiare tempo di sosta, ma se poi lo pneumatico si degrada nei giri successivi perché troppo consumato si perde ancora più tempo in pista che a cambiare le gomme. Per cui ogni squadra deve risolvere questa difficile equazione e capire quanti stint fare con ogni treno di gomme.
La Ferrari fino alle corse precedenti soffriva molto il degrado gomme. Che costringeva i piloti delle Rosse a rallentare il ritmo in corsa. Mentre la capacità di poter fare stint tripli con le stesse gomme senza distruggerle era una costante di Toyota. Ma qui a Le Mans si sono rovesciate le certezze delle prime gare. Sul lungo tracciato francese la 499P non solo in qualifica, ma anche in gara ha davvero volato. Ogni volta che la Toyota tornava sotto alla Ferrari, la Rossa apriva di nuovo il gap. Anche con gomme usate. Il ritmo della Ferrari semplicemente non calava più come in passato alla distanza. Tanto che il Cavallino ha potuto correre effettuando tripli stint senza cambiare pneumatici perché non si distruggevano.
Cosa è successo di diverso in Francia? «Semplicemente abbiamo imparato a conoscere meglio la vettura e le gomme», ha spiegato il direttore tecnico Cannizzo. «Lo sviluppo della 499P è stato fatto con gli pneumatici con specifiche 2022. Per cui nelle prime gare abbiamo dovuto inseguire i setup giusti per i nuovi tipi di gomme. Ci abbiamo messo del tempo. Ma gara dopo gara siamo migliorati e la svolta c’è stata qui a Le Mans». Specie tenendo conto del fatto che il circuito della Sarthe, con poche curve davvero veloci (Indianapolis, le esse Porsche e Tertre Rouge) intervallato da lunghissimi rettifili che lasciano “riposare” la mescola e stressa molto meno gli pneumatici rispetto ad esempio a Spa o Portimao, due piste critiche per le gomme. La Ferrari 499P evidentemente ha trovato l’equilibrio perfetto a Le Mans.
LA CORSA PIU’ BELLA DEL MONDO
Facile dirlo dopo questa edizione. Ma realmente Le Mans è la corsa più bella del mondo. Non c’è Montecarlo o Monza F1 che tenga, Le Mans è qualcosa di speciale perché coinvolge il pubblico in forma attiva. Andare a Le Mans è una festa per l’appassionato di motorsport perché non devi stare ore intere in tribuna a spaccarsi la testa sotto il sole per tenersi stretto il posto in modo da poter vedere passare solo un’ora e mezza le monoposto come accade in F1. A Le Mans puoi andartene ovunque con il biglietto circolare, oziare nei negozietti che vendono magliette, modellini e gadget senza timore di sprecare tempo perché la gara è sempre lì che va avanti e ti romba nelle orecchie. Rifarti gli occhi nei negozi di libri e memorabilia. E poi soprattutto puoi vedere le auto da vicino in azione. Con il semplice biglietto d’ingresso. Certo, in tribuna stai seduto comodo e asciutto quando piove (e un po’ di pioggia te la becchi ogni anno!).
Ma ti puoi anche vedere la gara da bordo pista. Anzi, è il circuito dove puoi stare pià vicino alle auto in azione. Puoi andare attaccato alla reti alla esse Ford, quelle che immettono sul traguardo. Quasi a ridosso dei fotografi a bordo pista. È un’emozione farlo, sopratutto di notte quando il fascio dei fari penetra il buio. Oppure puoi andare con le navette per il pubblico lungo la pista a vederti le macchine in azione nelle curve più leggendarie. Mulsanne, Indianapolis, le esse del ponte Dunlop. C’è il tempo di girare la pista e fare tutto perché anche se il circuito è lungo ben 13,6 km la gara è infinita. Nessuno ti corre dietro e non corri il rischio come in F1 che la sessione finisca e tu rimani a bocca asciutta senza aver visto passare il tuo idolo o la macchina del cuore. Se hai il fisico e per un volte rinunci alle ore di sonno, la notte di le Mans è uno spettacolo unico per il vero appassionato. Il più bello al mondo del motorsport. Perché fonde l’emozione delle festa di paese, con bancarelle, divertimenti e giostre, con quella dell’odore della benzina e il rombo del motore.
UNA GARA DOVE GLI AVVERSARI SI RISPETTANO
Le Mans è una corsa unica nel suo genere perché è rimasto lo spirito cavalleresco di un tempo. Una corsa dove gli avversari – in pista e ai box – si rispettano.
Volete un esempio? Vi racconto una curiosità. Nelle ultime ore di gara Oliver Blume, il n.1 della Porsche che è anche capo del gruppo Volkswagen (quindi uno dei manager auto più potenti al mondo) quando si è reso conto che le sue quattro 963 erano tagliate fuori dal successo, è andato personalmente nel box Ferrari a complimentarsi con Johan Elkann. È stato davvero strano vedere un uomo vestito di nero Porsche nel box Rosso a seguire davanti al monitor con i suoi rivali il finale di gara, ma Le Mans è così. C’è uno spirito nobile tra avversari che si pone al di sopra delle rivalità. Porsche è da sempre rivale numero uno del cavallino ma tra Stoccarda e Maranello c’è un rispetto antico. Questo è la lezione che ci insegna l’Endurance: spirito di cavalleria e rispetto per l’avversario. Un sentimento che la F1 travolta da gelosie, politica e business ha dimenticato in pieno. E poi nel motorsport, specie in Endurance la vittoria del Cavallino fa comodo a tutti. Agli spettatori, agli organizzatori e alle squadre un campo perché genera più interesse ed entusiasmo nell’intero sistema Endurance. E delle conseguenze ne godono un po’ tutti.
E poi in quella parte sana del motorsport non inquinata dalle gelosie F1, una sconfitta per mano della Ferrari non è vista come un’umiliazione. Al contrario, in un certo senso si giustifica. Perché la Ferrari è un avversario speciale. Che rende più autorevole anche lo sconfitto.
Oltre alle bancarelle, le giostre e l’odore della benzina il tutto è arricchito anche dai profumi dei barbecue che si innalzano dai prati a ora di cena… Qualcosa di inimitabile. Anche per questo (ma non solo) non nascerà mai un evento più bello di Le Mans.
Dello spettacolo della pista, invece, inutile parlarne. Inavvicinaibile.