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Il grande giorno è arrivato. Fernando Alonso ha finalmente rotto il ghiaccio e “assaggiato” l’ovale di Indianapolis. Con la Dallara-Honda (del team McLaren-Andretti) che guiderà il 30 maggio. Un test per scoprire il “catino”, la pista più affascinante, veloce e insidiosa del mondo. Anche se c’erano le tribune vuote e soltanto lui in pista, Fernando Alonso deve aver provato una grande emozione a girare per la prima volta sul famoso “catino” che ha scritto la leggenda del motorsport Usa. Ma la cosa che gli è rimasta più impressa è stata la velocità. È lei la regina di Indy. Tanto che gli americani, a differenza di quel che facciamo noi europei, non usano misurare il giro di Indianapolis con il tempo ma con la velocità. Se ci pensate fa molto più effetto. Dire che Alonso ha percorso il giro in 38 secondi non trasmette nulla; affermare invece che ha compiuto il giro a 358 km orari di media rende molto di più l’idea della velocità, della difficoltà e dell’eccezionalità dell’impresa. Ed emana un senso di profondo rispetto verso questi campioni del volante.

Ricordate dai tempi di scuola la famosa formulina matematica? Velocità uguale spazio diviso tempo. Gli americani nelle corse ragionano ancora così: calcolano la bontà di un giro in velocità, rigorosamente in miglia orarie. E non in minuti e secondi come noi europei, che non fanno realmente capire se stai andando forte o no e quanto.

L’anno scorso il tempo, padron, la velocità della pole di Indy 500 fu di poco più di 230 miglia, cioè 371 km orari. Mercoledì 3 maggio Alonso nel suo rookie test che tutti i “novellini” devono compiere a Indy – campioni del mondo compresi – per abituarsi alle difficoltà dell’ovale, ha coperto 111 giri. E il suo giro migliore è stato alla velocità media di 222,548 miglia orarie, che corrispondono a 358 km/h. Badate bene, non è la velocità toccata in rettifilo, ma per tutto la durata del giro. Quindi anche in curva, dove si rallenta un poco. Vuol dire che sul dritto si sfiorano i 400 km all’ora. È stato divertente sentire da lui che effetto faceva. “A quella velocità la pista, che da fermo sembra enormemente larga, diventa invece veramente stretta. In Tv vedevo le monoposto affrontare il rettifilo affiancate anche tre alla volta, ma quando mi sono trovato in piena velocità su quel rettifilo mi sembrava talmente stretto che mi chiedevo come facevano a starci tre macchine una di fianco all’altra…”.

Per fare un confronto, a Monza, si fanno circa i 260 km/h di media sul giro. A Indy si raggiungono i 371… Vero che a Monza ci sono le curve, ma anche a Indy. Solo che sono ampie e da fare flat out. Cioè a tavoletta. Affrontare le curve di Indy per un pilota, è la difficoltà maggiore da superare. Perché sull’ovale non si deve frenare, scalare marcia e curvare come su tutte le altre piste del mondo. Gli europei non sono abituati all’idea di girare in tondo per tre ore a 350 all’ora senza mai toccare il freno, senza mai scalare una marcia e col gas quasi sempre a tavoletta. Sembra facile. In realtà è difficilissimo guidare a quel ritmo. La macchina, quando è lanciata, pare sempre in equilibrio precario perché le ali sono ridotte al minimo per generare velocità in rettifilo. Sull’ovale la monoposto è leggerissima, sensibile al minimo soffio di vento, al lievissimo colpo di sterzo, alle scie delle auto davanti che creano turbolenza ma anche all’aria che rimbalza contro il muro e ti torna addosso sbilanciandoti. A Indy bisogna tenere il volante sempre un po’ di traverso perché le curve sono tutte sinistrorse, perciò gli assetti sono asimmetrici e bisogna essere particolarmente delicati sul volante. Mai agire nervosamente sullo sterzo, ma sempre con grande leggerezza. È come guidare perennemente sul ghiaccio. Ci vogliono sensibilità e dolcezza. Ma bisogna che libere l’istinto di conservazione che fa parte della natura umana.

A Indy c’è una curva speciale che richiede più attenzione delle altre: la curva 1. Quella da cui si arriva lanciati dal lungo rettifilo di partenza. Secondo la regola non scritta dei piloti di Indy, la curva 1 andrebbe fatta a tavoletta. Ma entrare in piena velocità in quella curva vuol dire che a 380 km orari si deve sterzare dolcemente a sinistra e lascia scivolare la macchina verso la corda interna facendo attenzione a non sbilanciarla. Mentre le mani agiscono sullo sterzo, il piede destro deve tenere il gas schiacciato a fondo sennò si perde velocità. Ma dirlo è più facile che farlo.

Persino Alonso ha avuto qualche incertezza nei primi giri. “Sapevo che Marco Andretti, che aveva fatto il collaudo della mia auto, aveva percorso in pieno la curva 1. Lui è abituato a correre a Indy. Così mi sono detto: lo posso fare anch’io perché se ce l’ha fatta lui, vuol dire che la macchina è in grado di farlo. Così quando sono arrivato alla curva 1 ho tenuto giù il piede destro. Credevo di averlo fatto. Ma il piede non era giù, non ero a tavoletta. E ho capito in quel momento che a Indy il piede destro vive la sua propria vita, non era connesso al mio cervello, agiva per suo conto. Credo di averci messo due o tre giri per fare in pieno quella curva, ma mi è stato utile per capire che devo sempre porgere rispetto a questa pista, a questa macchina e alla velocità”.

 

1 COMMENTO

  1. C un trave portante superiore in carbonio soltanto nella parte centrale, il resto della cornice del tetto e dei montanti crea due grandi asole dove si incernierano le porte.

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