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Cara Formula 1, che brutta figura!! Dovevi pensarci prima. Hai aperto gli occhi troppo tardi. Mentre il mondo attorno a te era vittima del coronavirus e gli infettati raddoppiavano giorno per giorno nei vari paesi, tu hai cercato di tenere duro. E di andare avanti imperterrita fino all’ultimo per disputare un Gran Premio in Australia come niente fosse. Forse pensavi di vivere in un mondo ovattato e diverso. Forse pensavi di essere sulla luna, immune al virus perché lassù non c’è atmosfera che lo propaghi. Credevi di essere immune e invece eri sulla terra infettata. Come tutti noi. Anche se nell’altro emisfero. Ma nemmeno laggiù eri immune dal virus.

Certo, è vero che in Australia ci sono stati finora pochi casi (127 nel giorno in cui hai deciso lo stop contro i 12mila infetti italiani) e magari tu speravi in questo per guadagnare tempo; ma bastava leggere e interpretare i grafici di tendenza sulla fulminante propagazione del virus. Le persone di buon senso hanno imparato in fretta a capirlo. Gli infettati crescono esponenzialmente da un giorno all’altro: quei 127 australiani infettati di coronavirus di giovedi sarebbero forse diventati 250 venerdi, 500 sabato, mille il giorno del GP e da lì il virus si sarebbe diffuso in un attimo con tutta la folla stretta una vicina all’altra sulle tribune.

Eppure cara F1 volevi tenere duro, per orgoglio e presunzione. Disputare la tua corsa come niente fosse. Mentre il mondo attorno a te si fermava con rispetto e senso civico, tu insistevi con il tuo planning anacronistico. Conferenze stampa, eventi per gli sponsor, meccanici che lavoravano nei garages. Con la tipica ipocrisia anglosassone di un paese che per motivi di salute metteva al bando la scritta Mission Winnow della Ferrari perché poteva alla lontana ricordare le sigarette Marlboro, ma non pensava a tutelare i suoi cittadini che avrebbero potuto infettarsi assistendo alla F1 o gli stessi uomini del Circus.

In Usa la NBA si è fermata interrompendo un campionato tra i più importanti al mondo, in Giappone già pensano a quando rinviare le Olimpiadi programmate a luglio, in Europa il calcio si è arreso impotente, in Europa la motoGP ha cancellato le prime corse e rivoluzionato il calendario man mano che l’infezione si allargava di paese in paese. E tu cara F1 pensavi di essere immune? No, l’amara verità, come ha detto con sincerità Lewis Hamilton in conferenza stampa giovedi 12, unico grande uomo del Circus ad avere il coraggio di parlare fuori dai denti, è che questa F1 non è sport. Chiamatelo come volete ma non è sport. È business. Comanda il dio Denaro. Cash is the king. La definizione sintetica e perfetta di Hamilton che dice tutto. Alla quale ha aggiunto: “Non capisco perché siamo qui. Il mondo intero sta reagendo a questo problema, magari lentamente ma sta reagendo. La NBA si ferma, Trump chiude i voli aerei all’Europa mentre la F1 va avanti. È preoccupante per me”.

Ha ragione Lewis: comanda il denaro. Ogni azione nel paddock avviene in funzione dei soldi. Il GP Australia muoverà a spanne decine e decine di milioni di euro fra diritti televisivi, compensi, ingaggi e sponsorizzazioni. E prima di buttarli nel cesso organizzatori, federazione e promoter ci volevano pensare dieci, cento, mille volte. Per salvare capra e cavoli. Gli uni per salvare l’incasso, gli altri per non dover pagare le penali. Così hanno mandato avanti le squadre. Sono state loro a dire: “noi non corriamo”. C’è rischio per i nostri uomini. McLaren per prima, seguita 12 ore dopo da (quasi) tutti gli altri.

Ma stavolta, cara F1, l’ingordigia ti ha preso la mano. Fia e LibertyMedia avrebbero dovuto cancellare prima la corsa. Una settimana fa. Quando l’ha fatto la motoGP. Quando gran parte della tua gente era ancora in Europa e le perdite sarebbero state più lievi. Non ci avresti rimesso tanti soldi. I segnali c’erano tutti. Qualsiasi medico di buon senso – come il professor Saillant (quello che curò la gamba rotta di Schumacher nel 1999) che Todt ha portato il 5marzo al Consiglio Mondiale Fia a tenere una relazione sul CoronaVirus – ti avrebbe suggerito che l’escalation delle infezioni nel mondo sarebbe stata rapidissima. Ma bastava fartelo dire dagli italiani della Ferrari, della Pirelli, della Alpha Tauri i cui parenti da noi sono segregati in casa.

Avessi annullato la corsa prima, cara F1, ci avresti fatto una gran bella figura e il mondo ti avrebbe rispettato. Per aver messo subito la salute della tua gente davanti al Dio denaro. Avresti compiuto un gesto saggio e dato al mondo un esempio importante.
Invece hai tenuto duro: volevi far disputare a tutti i costi la corsa. E hai compiuto lo stesso errore degli organizzatori del salone auto di Ginevra che all’inizio di marzo, dopo aver testardamente riconfermato lo svolgimento della fiera, si sono dovuti far imporre dal governo svizzero per motivi di sicurezza l’annullamento dell’evento appena 72 ore prima dell’inizio. Finendo col fare la figura del bambino capriccioso che non vuole mollare il giochino preferito.

Da questo triste epilogo si capisce che la F1 non ha più un vero padrone al comando. Con Ecclestone al vertice non sarebbe finita così. Il vecchio Bernie era troppo furbo: avrebbe preso in mano la situazione ben prima. E avrebbe fatto una scelta decisa. Nel bene o nel male. Non una pantomima come quella andata in scena nella notte fra giovedi e venerdi. Si corre? No, non si corre. Anzi, no, forse si corre. Oppure no. Ci voleva una decisione coraggiosa giorni fa. Come ha fatto Carmelo Ezpeleta della Dorna – uno che sì che comanda come comanda Bernie – che ha rinviato senza indugio la motoGP. Guadagnandosi rispetto. Invece la nuova gestione della F1 divisa fra il ramo commerciale di Liberty Media (Carey) e quello politico della Fia (Todt) che vuole apparire democratica e buonista ma fatica a prendere decisioni, ha finito per fare una frittata. E pensare che soltanto tre giorni fa si temeva che l’unica cosa che potesse mettere a rischio il GP Australia fossero le polemiche dei sette team contro le decisioni della Fia sul motore Ferrari e la presunta irregolarità del DAS Mercedes.

Invece adesso Carey deve fronteggiare due grossi problemi: il primo è un mondiale che dopo il forfait in Australia rischia di perdere anche il GP Bahrain del 22 marzo, dove sarà difficile entrare nel paese per via del veto agli italiani, e di conseguenza anche il GP Vietnam del 5 aprile che senza le altre due gare orientali non si giustifica come trasferta. Un mondiale sul quale aleggia il rischio di dover congelare pure le gare europee di Zandvoort ((3 maggio) e Barcellona (10 maggio) che non sono poi così lontane nel tempo considerando che in Europa il fenomeno è tutt’altro che in regressione. Si rischia di iniziare il mondiale F1 solo il 7 giugno a Baku.

L’altro grosso problema che assilla il “baffone” di Liberty Media è il crollo del valore della F1 alla borsa americana del Nasdaq dove la società F1 (FWONK) è quotata. Alle 18 di giovedi, quando in Australia era piena notte e i team principal erano riuniti a decidere il da farsi, l’azione già perdeva il 4%. Un’ora dopo, come si sono sparse le prime voci di annullamento del GP, è crollata del 12%. Pensate che il 20 febbraio – quando già da noi il virus cominciava a far sentire i suoi effetti – l’azione della F1 valeva ancora 46,8 dollari (non lontano dai 48 $ del valore massimo raggiunto a gennaio) e oggi è già precipitata a 25 $. Si è praticamente dimezzata. Nemmeno il Nasdaq e la borsa italiana hanno perso così tanto in proporzione nell’ultima settimana.

Per fortuna che a generare positività sulla F1 rimane un personaggio come Hamilton. Uno che ha le palle non soltanto quando guida ma anche quando parla perché ha il coraggio di dire quello che pensa. È il numero 1, può permetterselo, dirà qualcuno. Ma meglio la sua schietta sincerità del conformismo di tanti altri che si limitano a dire: quello che decide la Fia per noi va bene. Come dice Lewis: comanda il denaro…

 

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