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I vecchi piloti amano ripetere un insegnamento-chiave per addestrare i più giovani dal sangue bollente: “Un Gran Premio non si vince alla prima curva, però si può perderlo lì”. È quello che ha fatto al GP Stiria Charles Leclerc con il suo maldestro attacco a Vettel nel mucchio di vetture alla staccata della terza curva. Solo sette giorni fa avevamo esaltato per la sua guida eccezionale Leclerc e l’avevamo definito ormai pienamente “maturo”. Invece Charles ha dimostrato all’improvviso che non ha per nulla terminato d’imparare la difficile arte del pilotaggio in F1. È stata una deludente sorpresa: Criticavamo tanto Vettel per la sua cronica mancanza di sangue freddo, per quell’impulsività latina che lo portava a commettere stupidi errori nei momenti topici e poi anche Leclerc ha finito per cadere preda dell’eccessiva foga?

L’attacco irresponsabile alla terza curva del GP di Stiria l’hanno visto tutti da ogni inquadratura. Abbastanza per capire che fosse tutta colpa di Charles. Non aveva spazio né davanti né di fianco nel mucchione della curva numero 3. E invece, in quella condizione in cui i piloti sanno che devono anticipare le frenate e prendersi del margine di sicurezza, Charles ha compiuto una staccata alla va o la spacca. Come fosse solo in pista. Lo ha anche ammesso dopo: «Ero così ansioso di fare bene che ho pensato di guadagnare quattro posizioni in un colpo solo».

Molto onestamente Leclerc si è preso in pieno la colpa dell’incidente. D’altronde non poteva certo accampare scuse per la sua manovra dissennata. Però le sue parole, in cui si prendeva la colpa scusandosi con l’incolpevole Vettel, meritano rispetto: «Colpa mia, non sono stato bravo. Sono deluso di me stesso».

Il problema è che lo sbaglio di Leclerc pesa il triplo per un pilota della sua classe. Perché non solo ha rovinato la propria gara e quella del compagno. Ha anche sprecato un’opportunità: quella di sfruttare gli imprevisti per scalare la classifica. Una tattica attendista che sette giorni prima l’aveva portato sul podio. Ma soprattutto Leclerc con quella manovra dissennata ha azzerato il lavoro di un’intera squadra che s’era fatta il mazzo a Maranello e a Spielberg per preparare gli aggiornamenti aerodinamici che avrebbero dovuto far cambiare passo alla Rossa. La gara in Stiria serviva anche per capire se il nuovo flap anteriore e il fondo modificato fossero in grado di migliorare l’aerodinamica della SF1000. Ridurre l’elevato drag, aumentare la velocità sul dritto e migliorare la tenuta di strada in curva. Le prove di sabato non hanno permesso di valutarlo perché diluviava, perciò la controprova in corsa era importantissima. Dulcis in fundo, per completare l’opera, Leclerc ha pure distrutto il prezioso nuovo fondo in carbonio saltando con la propria monoposto sopra l’ala di Vettel! Insomma, il test dei nuovi componenti aerodinamici è diventato un… crash test! Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere.

Mi viene il sospetto che Leclerc, il Predestinato, l’uomo che ormai riunisce il ruolo di presente e futuro del team, si senta in qualche modo dentro di sé impunito e impunibile per certi comportamenti. Consapevole del fatto che tanto al principe ereditario si perdona tutto. Fosse stato in un altro team, un qualsiasi team inglese, sarebbe stato strapazzato a dovere per quell’errore. Che non rappresenta soltanto un piazzamento perso, ma anche l’occasione mancata di valutare sul campo la bontà o meno del lavoro svolto in fabbrica. Che dovrà essere rinviato all’Ungheria.

Però va anche fatta una considerazione che la dice lunga sulla situazione oggi in Ferrari. Il compito di tirare le orecchie al pilota e fargli capire le conseguenze del suo gesto spetta ai vertici dell’azienda. Al team principal ma anche al presidente. Che dovrebbero mettere Leclerc di fronte nel modo più costruttivo possibile alle responsabilità del suo ruolo. Perché in una squadra complicata come la Ferrari il pilota non è un mestiere individuale. È il terminale del lavoro di 800 persone del reparto corse, un ingranaggio determinante che deve agire in sincronia con l’intero gruppo. Non risponde soltanto a se stesso e alla propria coscienza. Montezemolo, ai suoi tempi, avrebbe fatto fuoco e fiamme in una vicenda del genere. Avrebbe convocato Leclerc al lunedi stesso a Maranello, Covid o non Covid, per metterlo davanti alle proprie responsabilità. Gli avrebbe fatto un cazziatone memorabile. Anche Marchionne avrebbe agito con durezza, magari usando la propria ironia punzecchiante, come quando definì Vettel “un tedesco troppo latino nel carattere”.

Invece il problema della Ferrari è che a parte il team principal Binotto, l’intera linea di comando dell’azienda è assente dal motorsport. Elkann e Camilleri, presidente e a.d., non si occupano delle corse e non fanno sentiere il proprio peso carismatico. Soprattutto nei momenti difficili. Una bella differenza fra la presenza a volte ossessiva e asfissiante ma comunque protettiva che garantivano a modo loro un Montezemolo o un Marchionne e la situazione attuale. Non capisco proprio Binotto quando dice: “Non è il momento di cercare colpevoli”. Certi sbagli andrebbero sottolineati anche aspramente per far capire quali gravi conseguenze un errore di foga. Questo forse è uno dei problemi della Ferrari di oggi: non ci si vergogna abbastanza di sbagliare.

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