Cambiano i tempi e la Ferrari di inizio anni ‘90 è un’azienda in transizione. Le berlinette GT faticano a vendersi e Maranello è di fronte alla necessità di rinnovare completamente la linea di modelli. In più la Federazione ha appena deciso di cambiare il regolamento in F1 e limitare il frazionamento dei motori a 10 cilindri, perciò la Ferrari si trova costretta a buttare alle ortiche i suoi eccezionali V12 usati negli ultimi anni in F1. E non siamo negli anni odierni, con quattro motori contingentati a macchina per fare un’intero campionato: qui parliamo dei primi anni ‘90, quando in una stagione di F1 si costruivano anche cento motori V12 fra propulsori da qualifica, da test e da gara. Così anche la Ferrari si trova a dover ottimizzare i costi per far tornare i conti.
In questo scenario Montezemolo e Piero Ferrari hanno un’idea geniale. Costruire una supercar in tiratura limitata (solo 349 esemplari) fortemente imparentata con la tecnologia Formula Uno, da vendere a prezzo stratosferico (850 milioni di lire) a pochi, fortunati e ricchi clienti nel mondo. Una vera F1 a ruote coperte in cui riutilizzare sapientemente i basamenti dei tanti motori V12 ex Formula Uno e molta tecnologia delle monoposto per riconquistare quell’immagine di supremazia tecnologica che si stava appannando.
Doveva essere un’auto celebrativa per sostituire la F40. Ma i tempi (ed i bilanci) stringevano e la Ferrari non poteva permettersi di aspettare il 1997 per giungere alla data esatta del mezzo secolo. Per cui la F50 – il nome celebrava il cinquantenario della fondazione dell’azienda – fu realizzata in anticipo di due anni sulla scadenza dell’anniversario: nella primavera del 1995. Ma perché il parallelo d’immagine con la F1 funzionasse, il legame con le soluzioni tecniche dei gran premi doveva essere totale.
Ecco perché la F50 resta ancora oggi l’auto stradale più fortemente imparentata dal punto di vista tecnico e strutturale con una Formula Uno. Una vera monoposto vestita. Telaio formato da una monoscocca in carbonio a cui veniva imbullonato il motore V12 che aveva funzione portante per trasmissione e retrotreno. Sospensioni anteriori push-rod montate direttamente sul telaio e ammortizzatori collocati orizzontalmente. Mozzi ruota racing con un singolo dado centrale. Tutto come su una F1.
E poi il motore, direttamente derivato dal V12 a 65° usato nella mondiale F1 1990/91. Con basamento in ghisa di spessore sottile, testata in lega leggera, distribuzione 5 valvole per cilindro, punterie idrauliche, cornetti di aspirazione variabili. Ma cilindrata portata dai 3,5 litri del motore originale F1 fino a 4,7 litri. Il regime di rotazione abbassato dai 13.500 g/m a 8500 giri/minuto, per una potenza di 520 cavalli contro gli oltre 700 cv del propulsore da corsa.
“L’unica cosa che differenziava la F50 dalla F1 dell’epoca – ricorda oggi Benuzzi – è il cambio. Nelle corse si usava già dal 1989 il sequenziale elettroattuato, ma per un’auto stradale pur se estrema come la F50, non era ritenuto ancora affidabile. Per cui la Ferrari Engineering (azienda satellite basata a Modena, ndr) progettò appositamente un cambio manuale 6 marce specifico per la F50. Un cambio eccellente: morbido, preciso. Un grande salto in avanti rispetto ai manuali del passato”.
Che la F50 sia una vera derivata da una F1 lo comprendo subito seduto a bordo mentre Benuzzi al volante di fianco a me lancia la supercar sulla pista di Fiorano: il rumore nell’abitacolo è assordante! Quando Benuzzi tira le marce, non si capisce una parola: il rombo sovrasta completamente la voce. Il motore è appena dietro le nostre spalle ma sembra che sia dentro l’abitacolo. La F50 vibra, risuona e trasmette tutta la sua grinta anche col sonoro, non soltanto con la dinamica. Rispetto alla F40, la F50 è stata omologata con 1 km/h di velocità massima in più: 325 km/h contro 324. Ma nessuno ha mai fatto la controprova. Di certo l’accelerazione è superiore grazie alla miglior motricità garantita da un layout di sospensioni più raffinato e moderno: 3”87 nello 0-100 e 21,7 secondi nel km da fermo.
Sulla pista di Fiorano Benuzzi ci fa notare una particolarità di questa “barchetta” con tetto rigido asportabile: “È ancora una supercar dura e pura: basti pensare che non ha nemmeno l’Abs, quindi bisogna frenare con attenzione. Ma anche se non ha nessun tipo di controllo elettronico, proprio il fatto di avere un motore aspirato di derivazione F1 ne rende paradossalmente più facile la guida. Perché il V12 esprime tutta la sua potenza ad alti giri (la coppia dichiarata è di 471 Nm a ben 6500 g/m, ndr) per cui l’erogazione di potenza è progressiva man mano che il propulsore sale di giri, non è brusca come la F40 turbo. Ancora oggi la F50 si lascia guidare benissimo, è un’auto abbastanza neutra di assetto e con la potenza in alto non è proibitiva da controllare. Il cambio morbido e preciso è davvero fantastico”.
Ma con un motore che ti urla così dietro le orecchie, la F50 non è certo la vettura per andare a spasso tranquillamente sulle strade. E poi lo sterzo duro e diretto, ancora senza idroguida, sarà anche preciso in velocità, ma da fermo è una sofferenza. Parcheggiare o fare manovra con la F50, a parte i problemi di visibilità posteriore, è un’impresa. Ci si fanno davvero i muscoli. Non a caso il primo cliente a comprarla è stato Mike Tyson…