Una volta i giochi di squadra erano proibiti in F1. Poi per evitare figure ipocrite e bugie pietose, perché i team davano lo stesso gli ordini di squadra nascondendoli dietro bugie fantasiose, sono stati liberalizzati.
Ma al GP Ungheria abbiamo assistito a due modi diversi di intendere il gioco di squadra. Quello Ferrari e quello Mercedes. Maranello ha esplicitamente sacrificato Raikkonen che era più veloce e avrebbe potuto vincere per coprire le spalle a Vettel. La Mercedes, viceversa, ha chiesto a Bottas di far passare Hamilton per cercare di attaccare le Ferrari. Promettendogli che Lewis, se non fosse riuscito nell’impresa, gli avrebbe reso il 3° posto. Cosa che è successa platealmente all’ultima curva.
Due modi di ragionare diversi e due stili diversi che più opposti non potrebbero essere. Chi ha ragione? Chi ha agito meglio tra le due squadre?
Diciamo che sono comportamenti che rispecchiano la diversa cultura di questi due team. La Ferrari, fin dai tempi di Schumacher, non ha mai messo in pari condizioni i suoi due piloti. Irvine prima e Barrichello poi, negli anni furono regolarmente sacrificati per spianare la strada della vittoria a Schumacher; poi con Alonso è successo lo stesso ai danni di Massa. Un comportamento se vogliamo spietato eni confronti della seconda guida ma necessario per creare una squadra a una sola punta capace di massimizzare ogni risultato concentrando i punti “pesanti” sul leader della squadra.
Con Vettel è successo uguale. Arrivato Seb in Ferrari, le gerarchie fra lui e Raikkonen sono apparse subito chiare. Si è visto quest’anno dove Kimi, già a Montecarlo, è stato richiamato ai box con un giro di ritardo per far andare al comando Vettel nel gioco dei pit stop. In Austria tre settimane fa a Raikkonen è stato chiesto di non fare il pit stop quando era previsto perché restasse in pista a cercare di ostacolare Bottas e Hamilton, sacrificandogli ogni chance di piazzamento finale per il bene superiore.
In Ungheria il ruolo di gregario di Kimi è stato chiaro fin dal via: si è spostato in partenza per proteggere spalle e traiettoria a Vettel chiudendo ogni possibile varco alle Mercedes. Alla prima curva Kimi ha pure rallentato leggermente con malizia per frenare Bottas e Verstappen e permettere a Vettel di compiere in tranquillità i primi giri concentrandosi sul ritmo da tenere invece di dover pensare a difendersi.
Piccole furbizie da piloti esperti che Kimi ha eseguito alla perfezione.
Poi nel finale di gara, quando Vettel ha avuto problemi allo sterzo, Raikkonen avrebbe potuto superarlo e involarsi verso la vittoria. Aveva un passo di mezzo secondo migliore nel piede. Ma avrebbe probabilmente fatto diventare Vettel facile preda di caccia di un Hamilton feroce alle sue spalle. Perciò è rimasto buono buono lì dietro Seb a tutelarlo. Raikkonen ha rispettato gli ordini e probabilmente si è ricordato che deve ancora firmare il contratto 2018. Sacrificare la vittoria per aiutare il capitano è stata la contropartita che ha offerto a Marchionne e Arrivabene che adesso non potranno non riconfermarlo. Anche perché grazie al doppio aiuto a Montecarlo e Budapest, Vettel ha portato a casa 14 punti in più. Guarda caso proprio il vantaggio che nel mondiale ha nei confronti di Hamilton. Senza l’aiuto di Raikkonen, Vettel non avrebbe quel margine di vantaggio nel mondiale. Probabilmente a fine stagione quei 14 punti peseranno tantissimo ai fini della vittoria finale.
Due considerazioni vanno fatte. Prima di tutto chi comanda sono i team, non i piloti che da questi sono stipendiati. Quindi è anche giusto che i piloti facciano gli interessi della loro squadra e non quelli personali. E l’interesse di squadra Ferrari è che il mondiale lo vinca Vettel perché è l’unico che ha davvero delle chances concrete tra i due.
Seconda considerazione: la gerarchia in una squadra la impone anche – indirettamente – la personalità del pilota. Il suo temperamento, la sua capacità di imporsi e farsi dar retta da tecnici e meccanici. Insomma, di essere un leader, un trascinatore, una guida per tutto il team. Schumacher era un leader dalla forte personalità, Alonso idem. Barrichello, Massa, lo stesso Raikkonen invece non lo sono mai stati. Bravi ragazzi, bravi piloti ma troppo deboli e a volte insicuri caratterialmente. Un campione se vuole davvero imporsi deve per forza essere anche spregiudicato ed egoista. Non è bello dirlo, ma è così. Un corridore veloce ma caratterialmente debole non dà garanzie di essere un leader nella guerra per il mondiale. Si vede la differenza tra i due ogni volta che coumicano con la squadra: Vettel a fine gara grida contento nella radio in italiano: “Vai Ferrari, un’altra bandiera a Maranello!”, Raikkonen bofonchia qualche parola incomprensibile. È il suo carattere schivo. Certo, ma è anche agendo come fa Vettel che si tira la squadra dalla tua parte un giorno dopo l’altro.
Perciò la Ferrari, se vuole continuare a lottare per il titolo iridato ha fatto bene a scegliere il cavallo su cui ha puntato. L’ha fatto fin dal 2015 quando ha assunto Vettel, mica ci è arrivata ieri a questa scelta. Umanamente fa male per Kimi, pilota leale e meritevole di un successo con la Ferrari prima o poi che insegue dal 2014. Ma ai fini strategici il GP Ungheria tatticamente è stato corso alla perfezione: andava difeso il capitano in testa al campionato. Costi quel che costi. Con ogni sacrificio. Come in un gara di ciclismo dove il gregario deve sacrificarsi per fare l’andatura al suo capitano, non farlo affaticare, preparargli il terreno per la volata e farsi da parte. Perché ogni punto raccolto qua e là può far comodo a Vettel, che deve puntare a strappare il possibile alla Mercedes nelle gare favorevoli a lui e alla Ferrari per poi gestire il “tesoretto” di punti di vantaggio nei circuiti più ostici.
Mercedes invece apparentemente ha fatto il gesto più elegante e corretto. Quello che si definisce un bel gesto. Alla de Coubertin. Ma ha fatto davvero bene ai fini del campionato? Toto Wolff ha spiegato a fine gara: “Questo è il nostro spirito di squadra. Noi non diciamo bugie. Avevamo promesso a Bottas che avrebbe riottenuto il 3° posto nel finale se Hamilton non fosse riuscito a passare le Ferrari e così abbiamo fatto”. Tanto di cappello per il gesto elegante e sportivo. Ma se Hamilton dovesse un giorno rimpiangere quei 3 punti lasciati per strada?
C’è da dire che Mercedes, a differenza di Ferrari, da tre anni si è sempre orgogliosamente vantata di mettere i suoi piloti alla pari. Quindi è abituata più di Ferrari a come controbilanciare favori e dispetti. È abitudine del team non creare favoritismi a tavolino e lasciare che sia la velocità in pista a definire le gerarchie. È una cultura tipica dei team inglesi, questa. Di cui a volte però si pagano le conseguenze perché non puntnaod mai su unod ei due cavalli alla fine si rischia di vederli perdere entrambi. La Williams, antesignana di questo comportamento, nel 1981 ci si è giocata un titolo mondiale in questo modo non decidendo all’ultima corsa fra i suoi piloti dell’epoca, Reutemann e Jones, chi favorire; col risultato che, nonostante le due Williams partissero in prima fila nel GP decisivo, fu Piquet con la Brabham, a beffarli tutti e due all’ultimo.
Finora la Mercedes ha sempre giocato bene questa carta dell’equivalenza riuscendo a sedare sul nascere le polemiche interne e le gelosie di chi si credeva svantaggiato (vedi Hamilton nel 2016). Ma questo gioco le veniva più facile quando aveva un vantaggio incolmabile in pista rispetto alle macchine rivali. Con Ferrari così vicina e competitiva, la Mercedes potrà ancora permettersi di essere così “generosa” regalando bei gesti al pubblico ma punti all’avversario?
C’è anche da dire che da un video fuori onda è spuntata una scena incredibile: l’immagine di Wolff che, vedendo in tv Hamilton sul traguardo restituire la posizione a Bottas, si toglie le cuffie con rabbia e sbatte il pugno sul tavolo. Forse rivolto a Lauda che lo guarda stupito e che non condivideva la mossa. Come se in Mercedes i due comandanti la pensassero in modo diverso sulle tattiche di gara e sulle gerarchie. Wolff ha difeso la correttezza e approvato la restituzione del podio a Bottas, Lauda più pragmatico e spregiudicato, probabilmente voleva che Hamilton se ne fregasse dell’eleganza, del bel gesto e si tenesse i 3 punti in più del terzo posto. Anche perché lui nel 1984 ci ha vinto un mondiale per mezzo punto di scarto a suo favore; quindi sa bene quanto sia utile non sprecare ogni briciola qua e là. Nè tantomeno regalarla agli avversari.
I 14 punti in più guadagnati da Vettel ai danni di Raikkonen vincendo a Montecarlo e Budapest faranno più la differenza a fine stagione rispetto ai 3 persi da Lewis anche se in palio ce ne sono ancora 225. Ma certo l’impressione è che in realtà a Brackley non siano tutti sulla stessa lunghezza d’onda. E questa è già una debolezza, una prima incrinatura nella condotta granitica della squadra campionessa in carica.
Quindi se guardiano al calore umano, bello il gesto di Hamilton che di colpo ha spazzato tutte le accuse di egoismo e di protagonismo che gli vengono fatte. Se mettiamo invece l’interesse del campionato sopra ogni altra cosa, in prospettiva ha fatto bene la Ferrari a non guardare in faccia ai suoi piloti e prendersi il massimo dei punti per chi è in testa al mondiale. Basta che prima o poi, quando non ha niente da perdere, Vettel renda il favore a Raikkonen. Come fece una volta Senna con Berger.
Ottimo articolo.
Secondo me Wolff ha fatto autogol, perché dati 3 punti pesanti in più a Vettel non necessari.
Dal punto di vista dei punti raccolti dalla squadra non sarebbe cambiato niente e ad un team manager dovrebbe contare solo questo.
Oltretutto Ham ha dimistrato di essere più veloce di Bottas. In ultimo, cedere la posizione all’ultima curva poteva favorire il sorpasso di Verstappen.
Cmq grazie Toto, continua così!!!