Bene ha fatto la Ferrari a investire 9 milioni di dollari per cinque anni, cioé 45 milioni da oggi al 2024, per tenersi stretto super-Leclerc vita natural durante. Soldi davvero ben spesi! La corsa che Charles Leclerc ha disputato in Austria giustifica in pieno l’investimento milionario. Molto spesso i team principal in F1 si comportano come ragionieri di ultimo livello quando si tratta di gestire un team. Pensano ed agiscono in modo conservativo. Ritengono che sia meglio mettere tutti i soldi sulla tecnologia e sulla costruzione dell’auto invece che investire su un pilota più bravo degli altri ma costoso. Si convincono che con un’auto migliore possa vincere chiunque. Anche un pilota sottopagato. Già, ma se poi l’ingegnere sbaglia il progetto della F1 – com’è chiaramente successo quest’anno alla Ferrari – che facciamo? Chi ci mette una pezza per evitare figuracce?
In questo caso l’investimento milionario fatto quest’inverno per blindare Leclerc a Maranello, a costo di sacrificare Vettel, ha davvero pagato. Se non ci fosse stato superman-Leclerc al volante della asfittica SF1000 negli ultimi giri del GP Austria, la Ferrari si sarebbe scordata il podio. Basta guardare dov’è finito Vettel: decimo e penultimo. Dietro persino all’Alfa di Giovinazzi e incapace in corsa persino di superare una Williams! E non per suo totale demerito – anche se un poco Seb si è imbolsito – ma perché la SF1000 in rettifilo arranca a passo da lumaca.
Leclerc invece ha guidato in modo fantastico. I sorpassi finali che ha fatto su Norris e Perez, ma soprattutto il modo in cui nei cinque giri finali ha rintuzzato il forcing disperato di Hamilton che doveva recuperargli tre secondi per agguantare il podio lo dimostrano.
È evidente che Leclerc oggi sia uno dei tre soli piloti al mondo – assieme a Hamilton e Verstappen – in grado di fare la differenza in corsa. Cioé metterci del suo e compensare col proprio talento di guida i decimi di svantaggio della monoposto. E portare la macchina al traguardo in una posizione migliore di quello che è il vero valore dell’auto.
Già, perché il discorso sotto sotto è questo. La Ferrari SF1000 attualmente non vale più del settimo/ottavo posto. È la quarta forza del mondiale dietro Mercedes, Red Bull e McLaren. Se la gioca con Racing Point e Renault. E se le cose girano male, sta dietro anche a quelle, com’è successo in qualifica. I motivi li sappiamo e ne abbiamo discusso nei giorni scorsi: eccessivo drag (cioé resistenza all’avanzamento) ma soprattutto un motore fiacco che eroga almeno 40 cavalli in meno dei rivali e soffre in velocità massima dove accusa distacchi di almeno 10 km orari. Che sia colpa del motore non c’è dubbio visto che tutte le monoposto motorizzate Ferrari (comprese Haas e Alfa Romeo) hanno peggiorato le prestazioni sul giro in qualifica rispetto all’anno scorso. 9 decimi più lenta la SF1000, 6 decimi peggio la Haas e addirittura 1”1 più lenta l’Alfa. Cos’hanno in comune queste tre auto? Indovinate un po’: il motore 065! Quello costruito dopo l’accordo di quest’inverno Fia-Ferrari di cui non sono mai stati svelati i dettagli. Non ci vuole un genio per desumere che la federazione, sotto l’onda delle polemiche degli avversari su come la Ferrari interpretasse il sistema di flusso del carburante, per evitare imbarazzi abbia chiesto a Maranello di rinunciare alle proprie tecnologie esclusive nel propulsore 2020. Di qui il calo di performance. Come diceva Andreotti, a pensare male ci si azzecca.
Ma torniamo a Leclerc, che è il vero motivo per cui stiamo festeggiando un podio invece che una brutta figura. Bene ha fatto il Cavallino a togliere una cinquantina di milioni dal progetto delle future auto per metterli sul pilota. Ogni tanto investire sugli Uomini, invece che su quattro pezzi di carbonio paga. Leclerc si è dimostrato un campione perché ha corso con il cuore ma anche con la testa. Quella che purtroppo sembra mancare a Vettel vista la staccata sciagurata che ha compiuto su Sainz che lo ha mandato in testa-coda.
Charles non ha mai perso la fiducia. Ha stretto i denti all’inizio cercando di non farsi staccare dagli avversari più veloci. Poi ha approfittato delle safety car per recuperare il distacco perduto. Come si dice nel gergo delle corse, ha fatto sì che la corsa gli venisse incontro. Che significa non perdere il ritmo, non farsi prendere dalla foga che ti fa strafare, non arrendersi anche se i rivali ti sfuggono via, non farsi staccare. Per essere poi pronto ad approfittare di qualche imprevisto. Imprevisto che è maturato nel finale sotto forma della terza safety car. Dove – forte di gomme fresche che gli toglievano l’assillo di doverle gestire – ha spinto al massimo aggredendo gli avversari e stordendoli con sorpassi da K.O. quando avevano le difese abbassate ed erano diventati vulnerabili.
Ammetto che non credevo che Leclerc fosse capace di maturare così in fretta e diventare subito un pilota completo. Un conto è inventarsi un giro velocissimo, un conto è disputare un’intera gara ad altissimo livello sena sbavature. Ero un poco scettico quando Ferrari quest’inverno aveva praticamente licenziato Vettel mettendo tutta la squadra nelle mani di Leclerc. In fondo Charles ha solo 22 anni, appena 43 GP all’attivo e anche se ha vinto due Gran Premi l’anno scorso e sette pole position non mi sembrava ancora pronto a prendersi da solo sulle spalle tutto il peso di una squadra così complessa come la Ferrari. Che può triturarti rapidamente al primo sbaglio (ne sa qualcosa Vettel!). In fondo, nel 2019 qualche errore di foga l’aveva commesso: a Baku quando tirò la macchina contro il muro nel momento in cui aveva la pole alla sua portata. A Interlagos quando ha chiuso con troppa foga il sorpasso su Vettel (colpa più di Seb che sua ma Charles doveva essere più cauto perché aveva più da perderci). Poi si era capito che aveva ancora da imparare qualcosa nella gestione delle gomme sul passo gara. Le distruggeva troppo in fretta. Per quello ha perso la vittoria a Singapore ed ha finito in calando in altri GP.
Invece la vera dote di Leclerc, oltre alla velocità, è quella di imparare in fretta dai propri errori. Me l’aveva anche detto alla prima intervista che gli avevo fatto, a Barcellona nel 2018 quando era debuttante con la Sauber-Alfa Romeo. Lì per lì ammetto che l’avevo presa come una frase di circostanza. «Imparo in fretta dai miei errori. Li analizzo e poi non ci ricasco più», mi aveva detto con fare serio e convinto. Avevo sorriso e segnato le parole nel taccuino senza però crederci molto. Era un sorriso di circostanza il mio. Leclerc aveva vent’anni quel giorno e faticavo a credere che un ragazzino così giovane e inesperto che l’unica cosa che aveva fatto fino a quel giorno in F1 era stata sbattere la macchina nei test invernali, comprendesse sul serio la portata di quel che diceva. Invece mi sbagliavo. E di grosso. Leclerc è molto più maturo dentro di quanto dica la sua età anagrafica e il suo aspetto da sbarbatello. Lo hanno reso adulto in fretta gli insegnamenti di Rosin della Prema, di Vasseur dell’Alfa Romeo e il destino che gli ha fatto perdere il padre a 17 anni alla vigilia di una gara di F2 e due anni prima Jules Bianchi, l’amico del cuore e suo punto di riferimento nelle corse. Charles Leclerc impara davvero dai propri errori. Fateci caso: non ci ricasca più. In qualifica non l’ha mai più sbattuta la macchina. E in gara non maltratta più le gomme. Dopo questa gara ho capito che la maturazione di Leclerc è completa. È già pronto per lottare per il titolo mondiale. Anche da solo contro tutti. Come Senna nel 1988, come Schumacher nel 1994, come Hamilton nel 2008. Come Vettel nel 2010. Avesse però anche la macchina, come hanno avuto gli altri prima di lui, faticherebbe di meno.