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Innovativa o conservativa? Il dilemma a proposito della nuova Ferrari SF70H è dibattuto da tutti gli appassionati e dagli esperti. Cerchiamo di capire quanto vale la 63° monoposto F.1 costruita dal Cavallino senza basarci sui tempi dei test a Barcellona che non sono completamente indicativi. La SF70H, presentata quasi timidamente, e in forte contrasto con i proclami del 2016, offre una doppia chiave di lettura. In certi aspetti pare una monoposto abbastanza convenzionale. Trasmette l’idea che non si sia osato tutto quel che si poteva fare. Da alcuni dettagli, come il muso a bulbo, sembra un’evoluzione della vettura dell’anno passato. Colpisce anche la scelta di puntare sul passo corto quando le nuove regole tecniche hanno spinto la squadra più tecnologica di tutte, la Mercedes, a osare una rivoluzione e costruire una vettura lunghissima, fatta apposta per sfruttare al massimo l’aerodinamica. Una sfida che rappresenta anche un grande rischio, come vedremo più avanti. Sotto altri aspetti, invece, la SF70H appare molto curata e raffinata. Al di sopra della concorrenza. Ci sono dettagli costruttivi di una raffinatezza esemplare. Ad esempio, i nuovi profili alari davanti alle pance. Certo, si può sempre dire che bargeboards, turning vanes e spoiler di ogni tipo sono adesso permessi dal regolamento che ha liberalizzato la creatività dei progettisti nella zona fra le ruote anteriori e l’abitacolo che prima era tabù. Quindi non ha senso meravigliarsi della loro presenza. Ma la Ferrari ha realizzato questi particolari aerodinamici con una precisione e una rifinitura – basta guardare il profilo ricurvo che indirizza l’aria sulle bocche del radiatore – sconosciuta alle varie Williams, Renault e Force India.

QUELLA SIMBOLICA ALETTA

C’è un dettaglio che la dice lunga sulla nuova attitudine Ferrari: quell’aletta sulla sommità della pinna per indirizzare e “ripulire” meglio il flusso d’aria verso l’alettone (che ora è più basso). Soltanto la Mercedes ha mostrato un’aletta simile, anche se infulcrata in modo diverso. Al di là del guadagno microscopico che quell’aletta potrà garantire, la sua presenza rappresenta un indizio importante di come Maranello ha lavorato. Perché è la dimostrazione di un nuovo atteggiamento mentale in Ferrari. Vuol dire che la squadra si è messa a testa bassa a pensare e studiare il regolamento riga per riga fino a trovare un “buco” nelle norme tecniche (è l’articolo 3.8.4) che consentisse di aggiungere in una zona inconsueta un dispositivo aerodinamico cui quasi nessun altro ha pensato. Magari non sarà una innovazione rivoluzionaria e decisiva, non farà guadagnare decimi ma soltanto millesimi, ma è la prova che il giovane staff tecnico Ferrari delle “seconde linee” sostenuto da Marchionne ha adottato un’attitudine diversa rispetto al passato. I tecnici si sono messi a cercare quelle soluzioni estreme – anche border line – battendo le zone “grigie” del regolamento per trovare un dettaglio che facesse la differenza. È la stessa mentalità che permise a Ross Brawn, grazie alla scoperta del famoso doppio buco nel fondo, di vincere il mondiale F1 2009 con la sua monoposto costruita con pochi soldi e priva di kers.

ATTEGGIAMENTO MENTALE DIFFERENTE

Si vede, almeno in questo aspetto, l’atteggiamento differente imposto dal direttore tecnico Mattia Binotto al suo giovane staff: Simone Resta progettista del telaio, Enrico Cardile responsabile dell’aerodinamica e David Sanchez che sovrintende lo sviluppo aerodinamico. Un modo di pensare e approcciare la sfida molto diverso dalla mentalità conservatrice dei precedenti responsabili tecnici, da Fry a Allison, che ci andavano con i piedi di piombo nell’innovare. È proprio l’atteggiamento che si aspetta Marchionne dalla “nuova” Ferrari. Vedremo se farà la differenza nel corso dell’anno nello sviluppo rapido della macchina, che secondo Binotto sarà la chiave per il potenziale successo.

LA SCELTA DEL PASSO CORTO

Sorprende invece un po’ che questo atteggiamento innovativo non si rifletta nelle dimensioni della monoposto. La SF70H è a passo corto; si vede visibilmente a occhio nudo, paragonandola alla lunghissima Mercedes. In questo caso Ferrari ha scelto una soluzione meno ardita di Mercedes. Perché? Qui possiamo discutere a lungo. Di certo non è stata una scelta improvvisata, al contrario sarà il frutto di studi accurati con i modellini in galleria del vento. Il passo, o interasse, è la distanza fra asse anteriore e asse posteriore. Influisce sull’aerodinamica e sulla maneggevolezza. Il passo lungo rende la macchina più stabile sulle curve veloci; un’auto a passo corto, invece, è più maneggevole nelle curve strette e più agile nei cambi di direzione. Ma non è che un soluzione sia giusta e l’altra sbagliata di principio; si tratta sempre di trovare il giusto compromesso. Storicamente l’interasse delle monoposto F1 negli ultimi vent’anni ha sempre variato da circa 2900 mm a oltre 3300 mm, a seconda delle filosofie progettuali. Un tempo, all’epoca dei motori aspirati, la McLaren era la squadra che seguiva più spesso la strada tecnica della monoposto a passo lungo. Era una scelta precisa di Adrian Newey (all’epoca direttore tecnico McLaren) che voleva esasperare al massimo l’aerodinamica delle proprie monoposto. Gli ingegneri di F1 dicono che sia molto più importante, ai fini dell’efficienza, l’aria che passa sotto oppure ai lati della vettura riaspetto a quella che passa sopra. Più la macchina è lunga, meglio si riesce a sfruttare l’aria che passa sotto o lambisce i fianchi della monoposto. Perché così si genera più downforce che si traduce in aderenza in curva.

QUANDO MCLAREN INNOVAVA

La storia della F1 dice che a fine Anni ‘90, quando era la McLaren a rivestire il ruolo di avanguardia tecnica della F1 che è oggi di Mercedes, le monoposto inglesi già sfoggiavano interassi superiori ai tre metri. Mentre le Ferrari di quell’epoca non superavano i 2935 o 2950 mm di passo. Simbolico per esempio fu il 1998: la Ferrari F300 debuttò con un passo ben 11 cm più corto della McLaren Mp4-13 di quella stagione che dominò le prime due gare. Poco meno dei 15 cm che si dice dividano la Ferrari di oggi dalla Mercedes. La scelta tecnica della McLaren sembrava vincente e più volte si disse che la Ferrari stava studiando una fantomatica versione a passo lungo della F300 per riequilibrare le sorti. Versione che però non vide mai la luce; anzi la F300 a passo corto ritrovò competitività tanto da arrivare a giocarsi il mondiale fino all’ultima gara. Quindi il passo lungo non è automaticamente la ricetta per la competitività. Non lo era allora e non lo è oggi. Oggi gli interassi si sono allungati rispetto al passato. Già nel 2016 diverse monoposto hanno superato i 3500 mm. E la tendenza 2017 è di allungarsi ancora. Il passo lungo è una scelta tecnica che porta vantaggi ma anche svantaggi. Col passo lungo la carrozzeria e il fondo sono di maggiori dimensioni e si riesce a generare più deportanza; ma poi questa scelta espone anche a degli svantaggi perché una monoposto lunga si porta dietro più carrozzeria, più carbonio nel fondo e nel telaio, che significano chilogrammi in più. E perciò bisogna limare ovunque per tornare al peso minimo di 728 kg, con tutti i rischi connessi: fragilità, surriscaldamento, affidabilità precaria. Curioso è che fu proprio Aldo Costa, oggi progettista della Mercedes, il tecnico che dal 2005 in poi introdusse sulle Ferrari il concetto del passo lungo per dare più stabilità alla monoposto e portò l’interasse dai 3050 mm della F2005 fino ai 3335 mm della F2008. A quell’epoca però il passo allungato serviva a compensare la poca impronta a terra delle macchine di allora e le carreggiate strette (20 cm meno di oggi). Nel 2017 la situazione invece è diversa: le monoposto sono diventate per regolamento molto larghe (due metri esatti) quindi sono comunque più stabili; allungare il passo può aumentare la tenuta sul veloce e dare maggior deportanza. Magari consentirà di sfruttare meglio le nuove mescole Pirelli che si annunciano più dure rispetto al passato. Ma nello stesso tempo il passo lungo metterà in crisi l’agilità della monoposto nel misto. Immaginatevi la W08, magari sarà velocissima sui curvoni di Montmelò, ma farla girare al Loews e alla Rascasse a Montecarlo o sui cittadini come Singapore non sarà facile.

NIENTE PASSO LUNGO NEI PIANI

Una cosa è certa: la Ferrari non sarà arrivata alla scelta del passo corto sulla SF70H per caso. In fase progettuale ogni team svolge migliaia di analisi in galleria del vento e al CFD comparando le varie soluzioni. Poi sceglie quella che gli offre le garanzie maggiori. Viene difficile pensare che la Ferrari non abbia pensato al passo lungo; semplicemente avrà fatto i suoi conti e avrà dedotto che a loro non dava sufficienti vantaggi. Perciò è ridicolo pensare, come si mormora sul web, che Ferrari, appena vista la Mercedes, si sia rimessa al lavoro in fretta e furia per realizzare una versione B allungata della sua monoposto. Una F1 radicalmente diversa con un interasse di 100/150 mm più lungo non si improvvisa dall’oggi al domani. Cambiare il passo in modo drastico vuol dire affrontare problematiche aerodinamiche, meccaniche e di bilanciamento per cui serve moltissimo tempo, anche perché le ore in galleria del vento sono contingentate. L’esempio del 1998, dove si vociferò per mesi di una Ferrari F300 a passo allungato che non arrivò mai, è significativo.

IL SISTEMA TRASVERSALE

La Ferrari SF70H è la prima Rossa costruita con un nuovo concetto: il sistema trasversale. Che non si riferisce a una metodologia costruttiva, ma al nuovo approccio verso il lavoro adottato dai progettisti. Non c’è più un capo che impone dall’alto le scelte progettuali ai suoi tecnici che le eseguono, ma le decisioni nascono in modo più collettivo. Vengono stabiliti i concetti di base, poi sono i tecnici di reparto che individuano e propongono la soluzione migliore allo scopo. Un approccio trasversale al problema e non verticale. Meno gerarchico. Che permette meglio di esprimere la propria creatività alle famose “seconde linee”, lo staff di tecnici giovani sotto il Binotto. Un metodo nuovo, voluto dal giovane d.t. e approvato da Marchionne, che ora dovrà dimostrare la sua efficacia. Lo sapremo nel corso della stagione e la prova sarà lo sviluppo rapido delle varie componenti sulla SF70H. Al di là del difetti cronici delle varie monoposto, il limite storico della Ferrari degli ultimi anni è sempre stato quello di una lenta evoluzione del progetto. Che finiva per rendere competitiva la macchina solo a metà/fine stagione. Il nuovo karma che ripete Binotto adesso è: «Riuscire a portare più innovazioni nel minor tempo possibile ed essere competitivi prima possibile». Sembra un’ovvietà, ma se il sistema trasversale farà cambiare passo alla Ferrari sarà già un traguardo. Anche perché questa SF70H ha un obiettivo non secondario, tanto importante quanto la vittoria: convincere Vettel – che è in scadenza di contratto e in odore di Mercedes – a restare a Maranello oltre il 2017.

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