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Per commemorare la pole di Vettel e la prima fila tutta Ferrari per la prima volta da 9 anni, di titoli e giochi di parole se ne sono sprecati: Rossa in Russia, oppure Ferrari… Russa ma non dorme. È così via. Ma cosa è cambiato in questi mesi per ribaltare i valori e rendere la Ferrari superiore alla Mercedes? Non solo in gara come è sempre accaduto nei primi GP del 2017, ma anche in qualifica, sul giro secco così ostico per anni a Maranello? Potrei semplificare il discorso con una sola frase: è tutta una questione di gomme. Sembra una banalità ma è la semplice verità.

La Ferrari SF70H appare più veloce della Mercedes W08 e permette a Vettel e Raikkonen grandi imprese perché finalmente fa lavorare gli pneumatici come si deve. Questo è il grande segreto della Rossa 2017. I piloti sono gli stessi e non è cambiata la loro determinazione; il motore V6 turbo di Maranello era già vicinissimo per cavalli ed erogazione di potenza “elettrica” al Mercedes l’anno scorso; ballavano forse 30/40 cavalli, non di più. Che su quasi mille rappresentano il 3/4 per cento. Una differenza trascurabile non non spiega il grande salto. Era invece il resto della macchina che mancava. Riprogettando interamente la monoposto sulle specifiche del nuovo regolamento – carreggiate più larghe, aerodinamica più estrema – i tecnici sono riusciti a migliorarla ed a risolvere quello che era il male cronico delle Ferrari F1 fin dai tempi di Alonso: consumavano troppo le gomme. E faticavano anche a portarle in temperatura. Due problematiche che sembrano in contraddizione ma invece sono una la conseguenza dell’altra.

Senza andare troppo nel tecnico, una gomma per lavorare perfettamente – cioè garantire aderenza senza sfaldarsi – deve funzionare entro una “finestra” di temperature (espressa in gradi centigradi) ben precisa. “Finestra” che varia a seconda delle mescole. Facciamo un esempio: le gomme super soft funzionano al meglio quando la temperatura di esercizio è sopra i 120 gradi e sotto i 135 gradi. In quel range di temperature, la gomma della mescola si ammorbidisce quanto basta per “appiccicare” a terra lo pneumatico e garantire la massima aderenza in curva alla macchina. Se resta sotto la temperatura ideale, la mescola rimane troppo dura e scivola sul terreno facendo slittare fuori traiettoria in curva la monoposto. Viceversa, se si scalda troppo, si formano al di sotto della mescola bolle d’aria calda che provocano buchi sulla superficie della gomma (nel gergo tecnico si chiamano blister). Così il pneumatico comincia a distruggersi rapidamente. Peggiorando ovviamente anche l’aderenza in curva.

Portare in temperatura le gomme e mantenercele senza uscire dalla “finestra”, è un’arte delicata in cui devono cimentarsi sia gli uomini ai box prima di mandare in pista la macchina, sia il pilota. I meccanici ai box devono saper scegliere al centesimo di bar la giusta pressione di gonfiaggio indicata dalla Pirelli, che è quella a cui la gomma lavora meglio. Non è una banalità: se vi ricordate le lezioni di fisica a scuola, c’è un nesso diretto fra pressione (dell’aria) e temperatura. Una gomma, quando si scalda, sale sempre di temperatura. Quindi la pressione di gonfiaggio, che si fa a freddo prima di uscire dai box, deve tenere conto del fatto che in pista, mentre la monoposto va, la gomma si scalderà per cui la sua pressione di gonfiaggio cambierà di conseguenza. E questo ne influenzerà il redimento.

Il box bravo è quello che sa calcolare quanto gonfiare le gomme perché queste, scaldandosi, restino entra la finestra ideale di funzionamento. Non troppo poco, non eccessivamente. Ripeto: parliamo di decimi di bar, non di grandezze enormi. Il gonfiaggio in F1 si misura con la scala inglese dei PSI che equivalgono a pochi decimi di bar (l’unità di misura che usiamo noi dal gommista). Perciò gonfiare una slick F1 a 1,38 bar (20 PSI) invece che a 1,44 bar (21 PSI) fa una enorme differenza sul rendimento in pista della gomma, anche se sul manometro del nostro gommista con la scala in bar quasi non si leggerebbe la differenza.

Anche la guida del pilota sia in gara che nella difficile fase del riscaldamento della gomma per il giro di qualifica influisce: strapazzare lo sterzo in curva oppure accelerare più o meno bruscamente, ottiene l’effetto di alzare più o meno la temperatura degli pneumatici. Infine c’è la macchina vera e propria. Box e pilota contano poco se la macchina ha un’impostazione di assetto e una geometria di sospensioni tale che fa “lavorare” male le gomme. Vale a dire che impiega troppi giri a portarle alla temperatura giusta d’esercizio o – peggio ancora – che non riesce a tenere costante la temperatura delle mescole, facendole uscire dalla “finestra” ideale. Sopra o sotto i valori corretti.

La Ferrari, che storicamente aveva la caratteristica di essere “gentile” sulle gomme, cioé le faceva lavorare bene perché la temperatura di esercizio restava costante, aveva perso questa peculiarità tre o quattro anni fa. Già negli ultimi anni di Alonso e sopratutto l’anno scorso si era visto che la Rossa aveva il difetto di scaldare male gli pneumatici e di degradarli in fretta. Tanto è vero che la macchina rendeva meglio con le mescole super soffici (che si scaldano prima) e nelle gare al caldo. Ricordate che Vettel era sempre il prima fermarsi ai pit stop con le gomme finite e che Raikkonen si lamentava continuamente della temperatura delle gomme? Viceversa, quello di far lavorare bene le gomme era il pregio della Mercedes che andava forte sia con gomma soft che dura.

Quest’anno è ormai dimostrato che i valori sul campo si sono ribaltati. La Ferrari SF70H sembra diventata la Mercedes dell’anno scorso, e la freccia d’argento è scesa al livello della Ferrari del 2016: non riesce a portare in temperatura gli pneumatici. Nemmeno le mescole ultrasoft (quelle viola) che sono talmente morbide che dovrebbero squagliarsi in pochi giri come un gelato al sole. Lo ripete ad ogni week end Hamilton e lo ammette pure Bottas. Basta un indizio nel giro di qualifica di Hamilton in Russia a dimostrarlo: aveva il miglior tempo nel primo parziale e poi ha perso la bellezza di mezzo secondo nell’ultimo settore: è la prova che la sua Mercedes aveva talmente deteriorato le gomme in meno di un giro, che gli ha impedito di andare forte nelle ultime curve come nelle prime. Viceversa, Raikkonen, che è il pilota che ha la migliore sensibilità di guida sulle gomme, ha fatto il migliore parziale di tutti proprio in quel tratto finale di Sochi.

È veramente incredibile che la Ferrari sia riuscita in un solo inverno nel difficile compito di migliorare drasticamente il delicato complesso telaio-sospensioni-aerodinamica. Ma è ancor più incredibile che la Mercedes abbia fatto un così clamoroso passo indietro dal punto di vista tecnico perdendo una buona parte del know how di questi anni.

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