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Pubblico qui un estratto dell’articolo che ho scritto
sul numero 36 di Autosprint dopo Monza.

Cosa c’è davvero dietro la sconfitta del Cavallino? Perché la macchina superveloce che in prova aveva sverniciato le Mercedes, monopolizzando la prima fila al punto da far presagire una doppietta si è trovata con un pugno di mosche in tasca a fine corsa? Un’ipotesi suggestiva ma terribilmente cruda porta a pensare che all’origine della debacle Ferrari a Monza potrebbe esserci il mancato rinnovo di contratto a Raikkonen.

Tutti noi, dalla pista e dagli schermi tv, abbiamo visto la gara dipanarsi in un certo modo. Ma per capire veramente quello che è successo a Monza bisogna fare un passo di lato. Provare a comporre lo scenario complessivo mettendo insieme frammenti di episodi accaduti dietro le quinte. Come ricomporre un puzzle. E allora alcune vicende collaterali accadute nel paddock possono spiegare quel che di inspiegabile è successo in pista.

Ad esempio: com’è possibile che le due Ferrari, che hanno il miglior software di partenza, una motricità e una trazione in uscita dalle curve che la Mercedes le invidia, e disponevano del vantaggio della prima fila, non siano riuscite a gestire alla perfezione la delicata fase di start e completare il primo giro al comando per andare in fuga sulle Mercedes? Eppure il potenziale c’era. S’era visto a Spa; s’era visto in qualifica. E com’è possibile che un un campione smaliziato come Vettel, quattro volte iridato e rotto a ogni esperienza, abbia gettato al vento alla terza curva con una collisione e un testa-coda, sia la corsa che le chances di campionato, comportandosi come se il GP d’Italia durasse un solo giro invece che 53?

UN PASSO INDIETRO 

Per spiegare queste vicende bisogna fare un passo indietro. E ricomporre come in un puzzle i pezzettini di indizi sparsi qua e là. Tra pista e paddock, tra i garage dove si elaborano le strategie di corsa e le salette private dei motorhome dove si riuniscono in gran segreto i team principal e gli amministratori delegati.
La storia inizia al sabato pomeriggio, con la pole di Raikkonen. Dopo le qualifiche Vettel appare nervoso e infastidito. Poco prima, via radio, si era lasciato sfuggire col team una frase sibillina: “Ne parliamo dopo”. A chi gli chiedeva che intendesse dire e a che cosa fosse riferito il malumore, rispondeva laconico: «Non voglio dirlo». Lì per lì si era pensato fosse la delusione per aver ottenuto soltanto il secondo posto in qualifica o essere partito davanti al compagno che beneficiava della sua scia (ma anche lui aevva quella di Hamilton). Ma in realtà con due Ferrari a monopolizzare la prima fila a Monza e la Mercedes indietro, le premesse non sembravano certo negative. C’era modo di attuare, con la collaborazione di Raikkonen, una strategia per proteggere le posizioni al via e mettere in sicurezza le Ferrari nel primo delicato giro. Per poi dettare il ritmo di gara nel modo più adatto. Invece qualcosa è andato storto. Vettel non è riuscito a fare la corsa che voleva.

La spiegazione è drammaticamente semplice: è mancato il gioco di squadra. L’accordo tra i piloti. Mentre la Mercedes ha messo Bottas in modo anche fin troppo smaccato al servizio di Hamilton, la Ferrari sembra proprio aver lasciato i suoi piloti liberi di correre uno contro l’altro dal via. Il loro comportamento nel primo giro di corsa lo dimostra. Raikkonen e Vettel si sono marcati e infastiditi, invece che agevolarsi a vicenda. Sia in partenza che alla prima frenata, che alla chicane della Roggia. Disturbandosi e favorendo indirettamente Hamilton alle loro spalle. Che ne ha saputo approfittare.

IL SECONDO INDIZIO

Qui viene il secondo indizio. Prima del via si è sparsa una voce maliziosa nel paddock. Proveniva da ambienti tedeschi. Diceva che John Elkann, presidente di FCA e Ferrari, aveva sciolto il dilemma sul futuro di Raikkonen deicidendo di segurie le volontà di Marchionne. Che erano quelle di non riconfermare Raikkonen come pilota del Cavallino per il 2019. La telenovela del rinnovo di Kimi a Monza durava fin dal giovedi pre-gara. Era abbastanza noto fin da giugno nell’ambiente che Marchionne, dopo avergli dato fiducia nel 2015, 16, ‘17 e ‘18, volesse rimpiazzare il finlandese giunto ormai a 38 anni, con Leclerc, il più promettente dei piloti del vivaio Ferrari. Ma Marchionne non c’è più e i progetti di Arrivabene e del neo a.d. Camilleri sembravano andare invece in direzione opposta: verso la riconferma di Raikkonen. Anche perché sembrava la soluzione migliore per tenere tranquillo e concentrato Vettel che non gradiva un compagno differente.

Ma la decisione non spettava soltanto a loro, ma anche a John Elkann. Presidente e azionista di riferimento del Cavallino. Il neo amministratore delegato del Cavallino, Louis Camilleri, al venerdi aveva ribadito l’incertezza: «Non abbiamo ancora preso una decisione». Nel frattempo i giorni del week end monzese sono passati e nessun annuncio di riconferma di Raikkonen è mai arrivato. Nemmeno dopo la pole del sabato oche sembrava l’occasione migliore per sancire la fedeltà al pilota finlandese. Poi alla domenica si è presentato il presidente Elkann e contemporaneamente ha preso sempre più corpo la voce opposta, che Kimi non era più contemplato nei progetti Ferrari del 2019. Tanto che si diceva si fosse già messo in cerca di una squadra alternativa perché non aveva nessuna voglia di smettere.Questa ipotesi – perché un annuncio ufficiale non c’è ancora stato – se fosse vera spiegherebbe tutta una serie di vicende accadute alla domenica a Monza. Per prima cosa il nervosismo palpabile di Vettel fra sabato e domenica e in secondo luogo perché la Ferrari non ha praticato un vero gioco di squadra in partenza a favore di Vettel.

Diciamoci la verità, quando si ci si gioca un mondiale con ritmi così intensi e serrati come in questo 2018 è impensabile non esercitare giochi di squadra per voler risultare impeccabili fino all’estremo. L’importanza del risultato finale esige di non farsi troppi scrupoli. Tutti danno ordini di squadra – che sia non duellare o congelare le posizioni – quando è necessario per portarsi a casa la vittoria e assestare un colpo micidiale all’avversario. Nessuno si sarebbe scandalizzato se a Monza la Ferrari l’avesse fatto.

NIENTE GIOCO DI SQUADRA PERCHE’…

Solo che la Ferrari, se davvero aveva informato Raikkonen nel corso del week end che non sarebbe più stato un pilota del Cavallino nel 2019, non era più nelle condizioni a Monza di dare un esplicito ordine di squadra al finlandese. O di chiedergli un sacrificio. Come agevolare o dare strada a Vettel in partenza. Oppure non “tirargli la staccata” alla prima curva, come si dice in gergo. Cioè non frenare all’ultimo mettendo in difficoltà il compagno dietro che sta cercando di superarlo. L’unica cosa che Arrivabene da team principal avrebbe potuto imporre ai suoi piloti era quella di non buttarsi fuori a vicenda alla frenata dopo il via (come accaduto a Singapore 2017). Quello non sarebbe stato tollerato. Ma la Ferrari non poteva più permettersi di domandare nulla di più a Raikkonen senza poter offrire una riconferm. Così Kimi ha badato a fare la sua gara. Cecramdo dia dnare in etsta, difendendosi con i denti, aenza agevolare per la prima volta Vettel. Oh, certo. Le due Ferrari sono sfilate prima e seconda alla prima curva. Ma c’era modo e modo di farlo. E non è stato fatto nel modo giusto. Vettel e Raikkonen non si sono buttati fuori e hanno conservato le posizioni, vero, ma si sono parzialmente ostruiti a vicenda favorendo il recupero di Hamilton. Invece di scattare in parallelo e chiudere la strada a ogni varco della Mercedes, le due Ferrari si sono marcate l’un l’altra finendo per infastidirsi.

QUELLA PARTENZA A DENTI STRETTI

Al via Raikkonen, che partiva a sinistra dello schieramento, si è affrettato a portarsi a destra per chiudere Vettel. Una manovra non proprio “gentile” se praticata nei confronti del tuo compagno di squadra. Poi il testa a testa Raikkonen-Vettel è proseguito perché Kimi ha bloccato le ruote costringendo Vettel all’esterno. Non certo un movimento per agevolare il compagno, anzi il contrario. Per questo motivo Vettel è arrivato un po’ lungo e si è intraversato nella successiva controcurva perdendo velocità in accelerazione. Ed è stato questo “traverso” alla prima chicane all’origine dei guai successivi di Vettel: perché così facendo, Seb non è potuto uscire con un grande spunto dalla curva a sinistra e ha permesso a Hamilton di prendergli la scia per tentare il famoso sorpasso alla Roggia. Lì vetteol ha sbagliato ancora, spostabdosi leggermnete ingannato dalle scintille che aveva fatto Raikkonem, temendo una sua frenata improvvisa, e ha ofefrto il varco esterno a Hamilton che lo affiancato e infilato senza pietà. Vettel ha tentato di resistergli e si è girato. In quel momento Seb ha perso la gara, punti pesanti e forse anche una bella fetta di probabilità di vincere il mondiale.

Attenzione però: qui non si sta attaccando Raikkonen accusandolo di essere in qualche moodo responsabile della sconfitta Ferrari. Al contrario: se Kimi avesse sempre corso in passato come ha fatto a Monza non staremmo qui a sperare solo nel tedesco per il mondiale. In quest’articolo cerco di di spiegarvi invece i retroscena per cui abbiamo visto Raikkonen meno disposto al sacrificio e soprattutto il motivo per cui a Vettel si è “chiusa la vena” a Monza e ha finito per commettere errori sia agonistici che tattici indegni di un campione qual è.

IL NERVOSISMO DI VETTEL

Perché Vettel è andato così all’arrembaggio in gara a Monza in quel primo decisivo giro? Perché si è ostinato a resistere a Hamilton quando poteva accodarsi e superarlo sfruttando la velocità della sua SF71H nei passaggi successivi? Perché ha osato tanto al punto da compromettere il mondiale? Qui l’analisi è delicata. Di errori di guida dovuti a rischi eccessivi quest’anno Seb ne ha compiuti parecchi: In Azerbaijan, in Francia, in Austria in qualifica, poi in Germania. Tutti gli sono costati punti pesanti che l’hanno allontanato dalla vetta del mondiale. Sappiamo che a un certo punto a Vettel si “chiude la vena” quando vede davanti l’avversario alla sua portata e cerca di strafare. Ma l’errore di Monza ha un’origine differente. Si spiega con il nervosismo per una squadra che non è più sotto il suo controllo. Con la consapevolezza di non aver più in Raikkonen un alleato che lo aiuti nella corsa al mondiale ma di colpo un rivale che vuol farsi la propria gara. Uno che vuol puntare a vincere e non ti regala più niente. Un avversario in casa. Rimontare 30 punti nelle prossime sette gare a Hamilton in queste condizioni è un’impresa ostica. Anche se hai la macchina più veloce del mondiale.

1 COMMENTO

  1. Sono totalmente d’accordo con la sua analisi. Infatti il giorno stesso della gara ho scritto un tweet che recita:
    “Sembra certo che Kimi vada via x volere di un non addetto, un padrone, il presidente Ferrari, smentendo l’A.D. Camilleri che assicurava i media: il destino di Kimi è nelle mani di Arrivabene. Questa invasione di campo indebolisce VET condannandolo alla sconfitta.”
    Questo accade solo in Italia, cioè, togliere dalle mani del direttore sportivo della Ferrari, Arrivabene, la titolarità della gestione della squadra, rendendo vano un lavoro biennale di recupero di tecnico della Ferrari nel confronto con la Mercedes.
    Ormai il mondiale è perso, penso il colpo definitivo è avvenuto ad Hockeneim, VET a bassa velocità esce in un punto che neanche Sirotkin era uscito.

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