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Sancita con un comunicato stringato dopo tanti tira e molla, annunci e smentite, è finita l’avventura di Mattia Binotto come Team Principal Ferrari. Binotto non è stato cacciato, ma si è dimesso. Soluzione onorevole concordata perché non aveva più la fiducia del presidente John Elkann e quindi in quei casi poco puoi fare per restare al comando se il padrone dell’azienda non crede più in te.

Binotto è il quarto team principal a saltare in Ferrari in nove anni: dopo la lunga era di Jean Todt (1993-2007) c’era stato Stefano Domenicali, dimessosi spontaneamente nell’aprile 2014 dopo 6 anni al vertice. In quel caso Domenicali aveva fiutato l’aria negativa che aleggiava dopo una stagione iniziata male (che infatti non avrebbe portato alcuna vittoria) e prima di farsi mandare via da Montezemolo come capro espiatorio (su cui a sua volta premeva Marchionne) si dimise di sua volontà. Poi ci fu la breve parabola di Marco Mattiacci, che durò una sola stagione nel 2014 prima di essere licenziato bruscamente da Marchionne divenuto presidente. Poi i quattro anni di Arrivabene (2015-2018) e ora i quattro anni di Binotto (2019-2022).

Nel web però sono divampate le prese di posizione contro l’uscita di Binotto. Curioso no? Perché prima si criticava a gran voce il suo operato e se ne invocava la sostituzione. Poi una volta decise le dimissioni, apriti cielo! Non dovevano lasciarlo andar via. E tutti a dire: come farà la Ferrari adesso? Bisognava togliergli l’incarico da team principal ma tenerlo come tecnico e capo degli ingegneri, perché la sua esperienza sarebbe potuta servire. Il pensiero è corso subito ai vari James Allison e Aldo Costa, usciti da Ferrari senza troppi complimenti ma andati a rinforzare la Mercedes che con loro ha continuato la striscia di vittorie. Dopo il danno, la beffa.

Non sono d’accordo. Perché nel caso di Binotto c’è un distinguo da fare. A parte che sembra che effettivamente Elkann gli avesse offerto comunque un ruolo subalterno, forse da direttore tecnico. Ma non era una soluzione logica. Quale persona con un minimo d’orgoglio, dopo essere stato capo supremo della gestione sportiva, venuta meno la fiducia del suo presidente per il suo operato accetta il ridimensionamento a un ruolo di subalterno di qualcun altro? Nessuno. Di solito il capo non si autodeclassa in un impiego inferiore: se ne va e basta. Magari si fa pagare salata l’uscita con cui vive di rendita per un po’ e si cerca nuove opportunità. Come ha fatto Domenicali a suo tempo. E se anche avesse accettato, con quale spirito avrebbe collaborato? Magari ingastrito perché deve subire regole diverse o orientamenti che non condivide? No, meglio un taglio netto subito. Sia per opportunità che per orgoglio. Da entrambe le parti.

L’unico che negli anni lontani aveva accettato un ridimensionamento di ruolo fu l’ing. Claudio Lombardi, che da team principal (all’epoca non si chiamano così) dopo la sfortunata annata 1992, all’arrivo di Todt fu “retrocesso” a capo dei motoristi. Ma Lombardi era un ingegnere “puro”, un progettista geniale che mal digeriva il ruolo di manager e fu in grado di rendere molto di più come motorista. Infatti riprogettò i V12 del Cavallino che divennero i più potenti della F1 e anche dopo di lui gli ultimi 12 cilindri della Ferrari, nel ‘94 e ‘95 permisero a Alesi e Berger di stravincere nelle piste di motore.

@Scuderia Ferrari Press Office

Invece va detto che Binotto non è esattamente il prototipo dell’ingegnere-progettista di grido. Lui è più indirizzato ad organizzare il lavoro dei tecnici, non a progettare in prima persona. Non è un disegnatore che si mette al CAD, piuttosto uno che supervisiona il lavoro dei tecnici e li indirizza. Non è un Newey, insomma. E neppure un Aldo Costa. Però era un manager che nel ruolo di organizzatore del lavoro ha avuto degli alti e bassi. Bravo a teorizzare e spiegare le cose da svolgere, meno a garantirle. Perché sono più gli ingegneri di valore che non è riuscito a tenersi stretto e ha poi mandato via quando non ci andava d’accordo (Simone Resta uno per tutti) che quelli che ha attratto nell’orbita della GeS.

Per cui io non sono scandalizzato se la Ferrari ha fatto a meno di Binotto. Era una svolta che Elkann doveva dare, specie dopo che si era sfilacciato il rapporto di fiducia fra Binotto e il pilota di punta del cavallino (Leclerc). Per me aveva poco senso che Binotto restasse dopo aver fallito la sfida mondiale nel modo in cui si è conclusa. Non per il secondo posto comunque positivo, ma per l’andamento un po’ balbettante nei commenti chiave della stagione. Diciamo la verità cruda: Binotto non ha dimostrato nel ruolo di capo della squadra corse questa bravura assoluta. In tutti i tre aspetti in cui un team principal dovrebbe distinguersi: politicamente, sportivamente e organizzativamente.

@Scuderia Ferrari Press Office

Politicamente, Binotto ha fallito. Perché nel 2019 si è fatto beccare con un motore irregolare (chi ne aveva avallato l’uso se non lui che era anche ex motorista?) e si è fatto declassare dalla Fia il motore nei due anni successivi finendo per doversi accontentare di una monoposto lenta in ben due campionati, non uno. Poi per la verità stava anche ad Elkann difendere la squadra in ambiente politico Fia, ma lui ha subito senza fiatare.

Sul budget cap anche lì ha perso la battaglia politica contro la Red Bull che ha potuto fare i suoi porci comodi e non ha pagato lo sgarro, se non con una multa. Una Ferrari politicamente più forte e mordace invece, come quella di Todt e Montezemolo, avrebbe strillato, puntato i piedi, combattuto, minacciato la serrata e non l’avrebbe fatta passare così liscia. Va bene che l’attuale presidente è poco aggressivo, ma Binotto che era in prima linea sul fronte Fia-F1 si è dimostrato troppo arrendevole a sua volta. Insomma, non è stato in grado né di fare il muso duro e puntare i piedi, né al contrario di trattare diplomaticamente sottobanco per ottenere un vantaggio.

Sul piano sportivo non ha brillato. Perché è vero che sotto la sua gestione è arrivato 2° nel mondiale Piloti e in quello Costruttori (in extremis), ma la “sua” Ferrari ha sprecato l’occasione della vita. Quest’anno che Binotto si era ritrovato una monoposto vincente ha scelto di tirare i remi in barca troppo presto. Ha avuto il “braccino”, come si dice nel tennis e nel motociclismo. Non ci ha mai creduto fino in fondo. Dal primo momento. Ma come? La tua squadra vince due delle prime tre gare, dopo 3 GP ti ritrovi Leclerc in testa al mondiale con 43 punti di vantaggio (non quattro o cinque ma quarantré!) su Verstappen, la Ferrari è al comando del Costruttori con oltre 45 punti di margine sulla Red Bull e tu inizi a compiere incomprensibili strategie di gara per favorire l’altro pilota (Sainz)? Che oltretutto commette errori a ripetizione e non è utile per la causa iridata?

A Montecarlo la Ferrari ha sbagliato clamorosamente i tempi della chiamata al box di Leclerc, a Silverstone ha favorito il pit stop di Sainz danneggiando Leclerc che era in testa al GP. Insomma, per tutto l’anno il team ha come mortificato il potenziale di Leclerc – chiaramente più veloce – per aiutare Sainz a far risultato. Il pilota scelto da Binotto (Leclerc se lo trovò già in squadra voluto da Marchionne). Un “divide ed impera” che non ha proprio pagato. Come non capire che Sainz è e resterà un pilota bravo, tenace, consistente, veloce ma non abbastanza combattivo e aggressivo da tener testa a Verstappen. Leclerc invece che è l’unico pilota che potrebbe lottare sul piano della velocità e della aggressività alla pari con Max e l’ha dimostrato, durante l’anno è stato “sfiduciato”. Lo si è messo alla pari di Sainz invece che puntare decisamente su di lui. E Charles non si è mai sentito compreso e coccolato fino in fondo. Questa è responsabilità totale della gestione “umana” di Binotto. E ha provocato la reazione di Leclerc che a Elkann ha più o meno detto: o lui o io.

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Io ho come l’impressione che Binotto prediliga la politica dei piccoli passi per non deragliare accelerando troppo. E si fosse posto come obiettivo quest’anno di migliorare il 3° posto del 2021 – quindi arrivare secondo – e non voleva proprio scapicollarsi e ritrovarsi a lottare per il mondiale. Perché magari alterava le sue strategie, gli investimenti del budget cap, l’organizzazione interna e il lavoro pianificato e chissà che altro. Voleva fare un passettino alla volta. Senza affanno. Per poter dire alla fine qualcosa del tipo: “Visto che bravi che siamo? Un passo alla volta stiamo progredendo. Siamo stati più bravi dell’anno scorso e di due anni fa. Al mondiale ci penseremo a tempo debito!”. 
E guadagnare tempo. Già, una tattica del genere può avere un senso. Specie in un team complicato come la Ferrari. Ma se il destino ti mette in mano l’occasione della vita sotto forma di una Ferrari a sorpresa iper- competitiva, di una Red Bull fragile a inizio campionato e di una Mercedes claudicante, è tuo dovere di team principal approfittarne. E subito. Fare il possibile e anche l’impossibile per vincerlo subito questo titolo mondiale. Anche se i piani di crescita erano altri. E più diluiti nel tempo. Perché se poi il prossimo anno tutte queste condizioni di favore non si ripresentano più, che fai? Ti mangi le mani fino ai gomiti?

Il capitolo forse più amaro è quello delle strategie “creative”, per non dire folli, per cui la Ferrari è diventata lo zimbello del paddock. L’hanno presa in giro tutti! Dalla Red Bull ad Alonso… Binotto diceva sempre: “dobbiamo capire…”. Ma la squadra non ha capito molto. Se non ammetti l’errore, se non diventi consapevole di aver fatto quella volta una cazzata a livello di strategia – non è un dramma, capita a tutti! – ma invece continui anche contro l’evidente apparenza a sostenere di aver agito giustamente, non imparerai mai dai tuoi sbagli. E continuerai a commetterli. Questo secondo me è stato l’errore più grande di Binotto da team principal: troppa arroganza a parole, non rendersi conto degli sbagli, non accettare le critiche negative, difendere comportamenti francamente indifendibili. Non prendersi la colpa. Toto Wolff in più occasioni si scusò pubblicamente per aver dato “una macchina di merda” ad Hamilton prendendosene la colpa. Salvo magari strigliare in privatogli ingegneri. Ma a Binotto abbiamo solo sentito dire che le strategie erano giuste, è la gente che non capisce di corse.

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Come organizzatore interno invece Binotto è stato bravo a ricostruire una squadra con metodi di lavoro diversi. Ma qualcosa ha sbagliato anche lì. Non nelle procedure, ma nella scelta degli uomini. Perché se continui a tenere lo stratega inadatto in quel ruolo e generalmente tecnici magari bravi ma nel ruolo sbagliato, non sei davvero il migliore degli organizzatori. Un team principal deve saper mettere le persone giuste nel ruolo giusto. Fargli svolgere il compito cui sono più adatti. E saperli tutelare quando sbagliano. Assumendosi davanti al pubblico le colpe, anche se non sono sue. Toto Wolff insegna in questo. Ma lo faceva anche Forghieri ai suoi tempi.

I punteggi nel mondiale Costruttori di Ferrari, Mercedes e Red Bulll negli ultimi otto anni

Se tiriamo le somme, la Ferrari di Binotto non è stata migliore di quella di Arrivabene a parità di stagioni. Anzi, il contrario. Nel quadriennio 2015-2018 Maurizio ha conquistato 14 vittorie e 1.819 punti complessivi. Quella di Mattia dal 2019 al 2022 ha raccolto 7 vittorie complessive e 1.533 punti. La sua Ferrari chiude con il record di pole position, 9 quest’anno, ma in due campionati (2020 e 2021) ha raccolto zero successi mentre Arrivabene è andato in bianco soltanto nel 2016. E comunque la Ferrari di Arrivabene è quella che in questi otto anni ha ottenuto il distacco minimo dalla squadra vincitrice (Mercedes): appena 84 punti di scarto nel 2016 nel Costruttori facendo il record dei punti iridati: 571. Mentre la Ferrari 2022 orgogliosamente seconda nel mondiale con 554 punti, ha rimediato un distacco abissale dalla Red Bull: meno 205 punti. Quando dopo le prime tre corse era a +46…

Comunque l’amara verità è che né Arrivabene né Binotto hanno vinto il titolo mondiale Piloti che a Maranello ormai manca da 15 anni (e da 14 quello Costruttori). Considerando che il lungo digiuno da Scheckter ‘79 a Schumacher 2000 durò 21 anni, il nuovo team principal – chiunque egli sarà – non dovrà sprecare tempo. Solo che ricostruire tutto da capo può richiedere tempi lunghissimi. O forse no. Dipende dall’identikit del nuovo capo che verrà annunciato a gennaio. Ma questo sarà argomento di un prossimo articolo…

1 COMMENTO

  1. Disamina impeccabile : sono d’accordo su tutto
    Per me è un mistero il motivo per il quale Binotto ha preferito Sainz a Leclerc…. Due sono le cose: o era in malafede, o non capisce una basetta circa le potenzialità dei piloti ( e sinceramente nel caso dei suoi , non ci vuole un master per capire chi è il più forte …. Questa fine rapporto avviene con almeno tre anni di ritardo: io dopo la schifezza dei motori irregolari al posto della dirigenza l’avrei buttato fuori

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