Questa spettacolare foto di Andy Hone vale più di mille parole. E purtroppo riassume tristemente in una sola immagine l’epilogo della situazione odierna in classifica e forse diventerà nelle prossime settimane l’incubo di Marchionne. L’immagine che mai avrebbe voluto vedere.
Anche adesso, a freddo, visto che ormai la F1 è da tempo trascesa nel bar Sport come il calcio, non possiamo esimerci dal chiederci: di chi la colpa del crash a tre Vettel-Verstappen-Raikkonen? Il replay della collisione tutti voi l’avrete visto cento volte se non di più. Niki Lauda a fine gara ci è andato su deciso. “Colpa di Vettel che si è spostato a sinistra” (cioè verso Verstappen e Raikkonen). Jacques Villeneuve su Sky ha puntato deciso il dito contro Sebastian. “Colpa sua al 100%”. Se vogliamo, lo stesso Vettel deve avere avuto la consapevolezza di aver sbagliato qualcosa se davvero a caldo ha davvero detto via radio alla sua squadra: ”Sorry” prima ancora di trovare ai box.
Dal mio punto di vista io invece penso sia stato l’esempio drammaticamente perfetto di quello che in una corsa viene definito “race accident”, cioé “incidente di gara”. Una definizione coniata apposta quando in una collisione non c’è un errore chiaro di uno dei piloti in particolare, ma il crash è frutto dell’agonismo, dello spirito della competizione e di un concorso di circostanze. E dello spirito essenziale che anima le corse automobilistiche, che è quello di tentare di mettere le ruote davanti all’avversario. D’accordo, quella non era una curva o meglio non ancora. Ma la pista si stava stringendo lá davanti.
Tutti noi abbiamo ripassato al rallentatore mille volte l’immagine di Verstappen al centro fra le due Ferrari che non sa dove andare, di Raikkonen che parte meglio di tutti e lo sta sfilando a sinistra. E di Vettel che vira leggermente verso sinistra chiudendo la strada a tutti e due. Questa la dinamica. Ora faccio una considerazione: non è giusto dire a posteriori che l’olandese doveva togliere il piede dal gas e frenare oppure che Raikkonen poteva sfruttare quel metro più a sinistra per trovare ancora un po’ di spazio. Come non è neanche giusto analizzare alla moviola i microscopici movimenti del volante di Max e di Kimi per capire se andavano davvero diritti o stavano leggermente sterzando. Quando succede un incidente del genere tutto accade in un attimo. I piloti guidano d’istinto, hanno pochi centesimi di secondo per capire e reagire. E nello stesso tempo certe reazioni possono non avere effetto, tanto le cose accadono in fretta. A quel punto del crash viaggiavano oltre 150 km/ora e a quella velocità in un secondo si fanno 41 metri, vale a dire che in due decimi – che è il tempo di reazione normale di un essere umano – se ne percorrono otto di metri. E le auto distavano fra loro meno di un metro… quindi come potevano reagire?
Purtroppo tutti convergevano verso lo stesso punto: l’interno della curva, perché nessuno voleva cedere all’altro la posizione privilegiata per affrontare davanti la prima curva e cercavano di coprirsi l’un l’altro. Quindi il crash era scontato. Non è un discorso fatalista il mio, ma semplicemente un modo per dire che certi incidenti fanno parte della dinamica delle corse, c’è poco da lamentarsi. Sono sempre successi è sempre accadranno. Specie in partenza quando le macchine sono tutte vicine. Quindi niente penalità e processi sommari per piacere.
Se vogliamo, possiamo aggiungere altre due o tre cose. Quando c’è un incidente, c’è sempre Verstappen di mezzo. Questo è un dato di fatto. Perché Max guida sempre alla “boia chi molla”. È nella sua natura aggressiva. Ma stavolta è il meno responsabile dei tre perché quando uno è preso a sandwich fra altri due, mica può scomparire di colpo per evitare una collisione. Dicono alcuni: doveva frenare. E perché mai, se aveva strada libera davanti prima che Vettel lo stringesse? Poi si può anche dire che Raikkonen poteva essere un po’ meno risoluto. Ma una volta che fa una partenza da urlo, possiamo permetterci di criticarlo? È stato bravo a cercare di incunearsi per andare in testa. È quello che ci aspettiamo da lui come pilota. Altre volte abbiamo criticato la sua arrendevolezza. Stavolta meritava miglior sorte la sua audacia.
Qualche perplessità potrei sollevarla sulla condotta di Vettel. Ma non perché abbia sterzato verso sinistra, come dice Lauda, andando praticamente verso Verstappen. Per me aveva il diritto di farlo. Era in testa, la scelta della traiettoria era sua. Le perplessità riguardano invece il suo errore chiamiamolo “tattico”. Vettel aveva tantissimo da perdere nella sua condizione di inseguitore di Hamilton in campionato. Più degli latri. Seb aveva come primo obbligo quello di finire la gara a punti, e subito dopo di vincere la corsa. Quindi avrebbe forse fatto meglio a cercare di tenersi alla larga dai guai in qualsiasi situazione del Gp, partenza per prima cosa, visto che ora ha perso di colpo 25 punti e compromesso il mondiale.
Ma poi mi chiedo: è giusto criticare un pilota perché ci mette il cuore e la grinta quando guida? Vettel è un corridore aggressivo e tenace. Se non avesse quel carattere determinato, da vero “racer”, non starebbe giocandosi il titolo contro Hamilton ma sarebbe al livello di Raikkonen in classifica. Se non guidasse in quel modo dando tutto se stesso, come ha fatto in qualifica, non avrebbe stabilito la pole position sabato e sarebbe partito due file dietro. Per cui meglio un Vettel così, nel bene o nel male, che un Vettel col “braccino”. Tanto non si vince con i piazzamenti contro Hamilton. ma solo attaccandolo. Capisco per lui che sia difficile trovare l’equilibrio ideale fra rischio e risultato. Riuscire ad attaccare, senza compromettere tutto quanto. Sabato gli è andata bene perché quella toccatina con la ruota posteriore nel giro secco poteva metterlo ko, ma sono stati quella grinta e quei rischi che l’hanno proiettato in prima fila. Domenica invece gli è andata male. È triste, ma ci sta. Fa parte dell’essenza delle corse. Non è essere fatalisti, ma realisti. Nelle corse non esiste la sfortuna, ma qualche volta le cose ti girano bene, una volta ti vanno male. Fa parte del calcolo delle probabilità. Vettel ha ottenuto finora molti piú piazzamenti, però meno vittorie di Hamilton. E nonostante questo era attaccato a lui in campionato. Era probabile che capitasse un passo falso prima o poi. È nella casistica.
Il guaio è che ora il campionato è davvero compromesso: ha un bel da incoraggiare tutti Arrivabene, ma con le sole forze Vettel non ce la può più fare. Se non ci si mette la sorte a frenare Hamilton almeno una volta prima della fine del mondiale, è finita. 28 punti sono più di una gara di vantaggio. Basta fare un semplice calcolo: se Vettel dovesse vincere tutte le prossime cinque gare meno una ed Hamilton fare sempre secondo e vincerne solo una (con Vettel secondo), finirebbero a pari punti. Tanto per dare un’idea del vantaggio che ora ha Lewis. Ma temo sia quasi irrealizzabile.
Concordo con tutto quanto detto, ma aggiungerei alcune considerazioni.
Vettel ha assolutamente mancato sotto l’aspetto tattico.
È partito in pole, ma è scattato peggio di Max e di Kimi e di questo se ne è accorto subito in quanto ha cercato di proteggere la posizione.
Era la prima gara che si disputava a Singapore con la pioggia e in notturna, senza avere alcun riferimento in tal senso e sarebbe stata indispensabile maggiore accortezza da parte sua, vista la posta in gioco.
A fianco partiva Verstappen e avrebbe dovuto essere ben nota a Seb la sua esuberanza.
La priorità era dunque passare indenni alla prima curva e vedere quali sviluppi avrebbero potuto esserci in una gara ben diversa che sull’asciutto.
I mondiali, specie quello come quest’anno estremamente combattuto, si vincono se si taglia il traguardo e non fermandosi alla prima curva.
Già nelle prove, in un giro assolutamente fantastico, era stato graziato dalla buona sorte dopo una decisa toccata a muro che non aveva compromesso il risultato.
Ma un conto è rischiare il tutto per tutto in prova e un altro compromettere la gara alla prima curva in un momento così fondamentale della stagione.
Direi che il lato emotivo di Vettel, già manifestatosi negativamente in più di un occasione, ha avuto anche questa volta il sopravvento sulla necessaria razionalità.
Antonio