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Dici Lauda e pensi subito alla corsa del Fuji 1976. Il famoso “gran rifiuto”. Il coraggio della paura. Oppure la paura di aver coraggio. A seconda dei punti di vista e delle opinioni. E poi subito dopo pensi a Mauro Forghieri. Genio e regolatezza della Ferrari. La coppia più vincente degli anni ‘70 in Formula Uno. Niki Lauda e Mauro Forghieri, il braccio e la mente. Uno pilota, l’altro progettista di successo. Insieme in Ferrari hanno vinto 15 gran premi in 4 anni e due titoli mondiali. Non tantissimi se pensiamo alla striscia infinita di successi di Hamilton, ma un’enormità quando si correvano la metà delle gare in una stagione e di avversari ce n’erano una sfilza che non finiva più. Lauda è stato l’interprete perfetto della F1 anni ‘70 e Forghieri il suo mentore. Il genio che gli aveva ritagliato e cucito addosso una monoposto perfetta: la Ferrari 312 T.

Forghieri ha sempre considerato Lauda come il pilota Perfetto. Con la P maiuscola. Il suo sogno di corridore. Lo stereotipo ideale del pilota di Formula Uno. Niki Lauda e Mauro Forghieri hanno formato, nei quattro anni di Ferrari fra il 1974 e il 1977 un sodalizio formidabile e stravincente. Come mai per Forghieri, Lauda era il pilota ideale? Mettevi nei suoi panni. Un ingegnere cosa desidera? Un corridore veloce ma preciso, metodico, rigoroso. Capace di compiere cento giri sempre con uno scarto minimo di tempo, capace di passare sempre sulla medesima traiettoria. Di non lasciare niente al caso. Uno talmente bravo da non commettere sbavature e in grado perciò di annullare il margine d’errore umano e permettere così all’ingegnere di capire come si comporta la macchina, cosa funziona e cosa no. Una specie di computer in carne ed ossa. Una telemetria umana che era preziosissima quando le F1 erano più artigianali e non c’erano sensori a leggere le informazioni ma bisognava affidarsi al feeling del pilota per capire cosa andava e cosa invece non funzionava. Ecco, Lauda era questo. In un’epoca in cui le Formula Uno erano imprecise e incostanti, Lauda era la sicurezza. La certezza che il pilota stesse usando la macchina al massimo del suo potenziale e quindi, quando non ce n’era più, si sapeva che bisognava mettere le mani sul mezzo meccanico. E non sull’uomo.

Oggi Forghieri ricorda Lauda così: «Era perfetto. Il tipo di pilota che ho sempre sognato di avere in squadra. Un uomo preciso, meticoloso, velocissimo, determinato, con una sensibilità innata nella guida. Ma anche un lavoratore indefesso».

Lauda e Forghieri nel primo anno in Ferrari nel 1974 (foto Motorsport images)

Questo giudizio di Forghieri fa ancora più impressione pensando che negli anni successivi ha avuto al suo fianco un fenomeno della guida come Gilles Villeneuve. Eppure dovesse scegliere fra loro, Forghieri l’ingegnere preferirebbe Niki, non Gilles. «Villeneuve era un asso della guida», ricorda Forghieri. «ma umanamente parlando era un puro, un ingenuo. E come pilota non aveva il senso del limite e della misura. Tornava al box con la macchina demolita, senza ruote e cambio e chiedeva: si può riparare? Posso continuare? Lauda invece era velocità e precisione combinati insieme. Il mio pilota Perfetto».

Lauda però non è sempre stato così. «Quando è arrivato a Maranello, a 23 anni nell’inverno del 1973», ricorda Forghieri «Lauda era tecnicamente “ignorante”. Sapeva dire soltanto: “c’è sottosterzo” o “c’è sovrasterzo”. E io gli dicevo: Niki, non basta. Devi essere più preciso e più specifico. Lauda è cambiato durante quel lungo inverno fra il 1973 e il 1974. Lavoravamo tutto il giorno in pista, con lui e Regazzoni a Fiorano, guidando e facendo sviluppo e messa a punto della monoposto dalle 9 del mattino fino alle otto di sera. Tante volte Niki guidava col buio pesto. A quel tempo a Fiorano c’era un sistema di 29 fotocellule sul circuito che rilevavano i tempi intermedi fra ogni curva. Un antesignano della moderna telemetria. Con gli occhi di oggi era un sistema rudimentale, ma permetteva di capire se uno guidava bene o male, se sbagliava una curva e dove. Mentre Regazzoni, finito di guidare prendeva e se ne andava, Lauda alla fine dei test si faceva dare quella lunga stampata di tempi intermedi e passava ore ad analizzarla per capire dove migliorarsi. Per questo è diventato bravo come pilota».
Talmente bravo da vincere 15 GP con la Ferrari e poi altri dieci con la Brabham-Alfa Romeo e poi con la McLaren e un terzo titolo iridato con la monoposto di Ron Dennis motorizzata Porsche-TAG.

Oggi Forghieri ha un rimorso riguardo a Lauda: «Quello di non aver insistito troppo con lui». Forghieri si riferisce all’incidente del Nurburgring, nell’agosto 1976. Quando Lauda restò dieci giorni fra la vita e la morte e poi dopo appena un mese riuscì eroicamente a tornare a correre a Monza, ai primi di settembre nel GP d’Italia. «Lauda volle rientrare in F1 a tutti i costi. Per me non era pronto. Ma credeva che Reutemann, ingaggiato nel frattempo da Ferrari come terzo pilota per sostituirlo, potesse rubargli il posto l’anno successivo. Invece non aveva capito che l’argentino era stato preso dal “Vecchio” proprio per aiutare Lauda e portare via punti in campionato ai rivali inglesi. Invece Niki volle tornare subito al volante ma non era psicologicamente pronto. Arrivò quarto a Monza, ma soffrì tanto. Avrei dovuto impedirgli di correre, ma lui era troppo determinato. Secondo me aveva ancora bisogno di tempo per recuperare la sua forza interiore, il suo leggendario autocontrollo. A livello di guida non gli mancava nulla dopo l’incidente, ma psicologicamente non era più così solido come prima. D’altronde fino a pochi giorni prima era in punto di morte…».

Forghieri pensa che se fosse riuscito a impedire a Lauda di correre a Monza quella volta, l’austriaco avrebbe avuto più tempo per ricostruirsi psicologicamente e forse quel mondiale del 1976 lo avrebbe vinto. «Lauda arrivò alla gara decisiva al Fuji, in Giappone, in grande tensione. Il giorno della corsa c’era un diluvio, la pista era quasi impraticabile, gli avversari avevano capito la debolezza psicologica di Niki in quel frangente e lo spiazzarono. Prima decisero di non correre, poi all’ultimo istante presero il via perché i loro team manager li minacciarono altrimenti di non pagare loro l’ingaggio. Niki rimase sconcertato perché ormai era entrato nell’ordine di idee che non si sarebbe corso. Poi salì in machina e partì lo stesso, ma dopo un giro si ritirò perché non riteneva ci fossero le condizioni per guidare. Pensava che anche gli altri facessero lo stesso e invece loro andarono avanti. E perse il mondiale. Io resto sempre dell’idea che ci fu un mezzo complotto fra tutto l’entourage inglese per fregare Niki e la Ferrari che erano invisi ai britannici approfittando della sua debolezza psicologica di quei giorni. Guarda caso Hunt, che aveva fatto una pessima gara quel giorno guidando male nelle retrovie, proprio negli ultimi quattro giri superò quattro macchine e riuscì così ad assicurarsi in extremis i punti indispensabili per vincere il titolo. Ho sempre avuto il sospetto che quei sorpassi gli furono agevolati perché a molti team faceva più comodo che a vincere fosse lui e non Lauda e la Ferrari».

Poi ci fu il famoso episodio del coraggio di aver paura. O della paura di aver coraggio. Punti di vista differenti che divisero l’Italia sportiva degli anni ‘70. Ma Forghieri oggi ne dà un giudizio diverso: «Quando Niki si ritirò, io mi rendevo conto del suo stato d’animo, della delusione e della sensazione di vuoto che provava per come era stato l’epilogo della corsa. Perciò, per proteggerlo, gli proposi di raccontare una scusa. Gli dissi: Niki, diciamo che c’è stata una infiltrazione d’acqua dovuta alla pioggia e che perciò la centralina non faceva funzionare bene il motore e che ti sei fermato per quello. Ma lui mi guardò e rispose: No, diciamo la verità. È giusto che ci metta io la faccia. Perché sono io che sono venuto meno al mio impegno di pilota».

 

2 COMMENTI

  1. Io credo che la Ferrari gesti male la faccenda. Lauda sentiva che dopo l’incidente non c’era più fiducia in lui. Lo avrebbero aiutato di più senza l’ingaggio di Reutemann… Tanto è che l’anno successivo si consumò la vendetta: titolo e via sbattendo la porta. Acquistai Protokol, il libro che Niki scrisse e che evidenzia chiaramente la situazione, anche se vista solo da una parte. Era chiaro che stava sbagliando (la Brabham-Alfa non poteva assicurargli nulla, tranne il lauto ingaggio) e successivamente lo ammise, ma il suo orgoglio (ferito) era troppo forte. Peccato, avrebbe potuto vincere almeno un altro mondiale con Ferrari. Anche in F1, dove la tecnologia è allla massima espressione, oltre ai tecnici e ai piloti servono manager competenti e… fortunati.

  2. Quella domenica del GP Giappone fu tremenda. Il mio campione a pochi giri dal termine era campione poi Hunt cominciò a spingere. Il lunedì mattina a freddo capii che Lauda era diventato un mito perché era un Uomo coraggioso in tutti i sensi.

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