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Nella storia dell’automobilismo viene chiamato il “maggio nero”. Una lunga striscia di lutti nelle corse a due e quattro ruote mai così numerosi come in questo periodo. Abbiamo appena ricordato la tragedia di Senna, il 1 maggio a Imola e già la lista di tragici ricordi diventa infinita. Il 2 maggio 1985 il rallista Attilio Bettega al Tour de Corse con la 037; l’anno dopo, stesso giorno stessa squadra (Lancia) ma con la Delta S4, in una coincidenza spaventosa c’è il dramma di Toivonen e Cresto; e poi il 7 maggio contiamo 53 anni dalla morte di Lorenzo Bandini nel fuoco della sua Ferrari F1 a Montecarlo e il giorno dopo, 8 maggio come tutti sanno, è la ricorrenza della scomparsa di Gilles Villeneuve, immolatosi a Zolder. Che voglio ricordare con la bellissima foto di Ercole Colombo che l’ha immortalato così come Gilles è sempre vissuto: in controsterzo.
E poi c’è Elio De Angelis deceduto per l’impatto della sua Brabham “sogliola” F1 alla esse Verrerie del Castellet il 14 maggio. E poi tanti altri nomi e drammi che gli appassionati conoscono meno: Harry Schell, Alfonso De Portago, Alberto Ascari, Luigi Fagioli, Bill Vukovich, Carl Scarborough, Jerry Unser e tanti altri. Tutti accomunati dall’essere scomparsi a maggio.
La coincidenza temporale è spaventosa: di 32 piloti deceduti nella storia della F1 dal 1950 ad oggi, ben 12 se ne sono andati nel “maggio nero”. E lo stesso vale nel motociclismo: pensate a Pasolini e Saarinen, morti nello stesso incidente il 20 maggio 1973 a Monza, oppure a Buscherini e Tordi, caduti a distanza di pochissime ore al Mugello tre anni dopo, il 16 maggio 1976.
Ma perché maggio è il mese nero del motorsport? Non è colpa di qualche congiunzione astrale tragica. È semplicemente un fatto di probabilità. A maggio una volta si disputavano più corse che in qualsiasi altro periodo dell’anno. Un tempo l’automobilismo (e il motociclismo) erano più stagionali, stavano fermi da ottobre a marzo, poi si ripartiva e quello di maggio era il primo mese fitto fitto di appuntamenti su tutti i circuiti d’Europa. Si disputavano molte più corse a maggio che negli altri periodi per cui, per un calcolo di probabilità, avvenivano più incidenti.
Poi non dimentichiamo che a maggio si correvano per tradizione due gare micidiali e pericolosissime come la Mille Miglia in Italia e la 500 Miglia di indianapolis che negli anni hanno richiesto spesso un pesante sacrificio di vite umane. Indy fino al 1958 ha fatto parte del calendario F1 anche se i piloti europei la disertavano, per cui gli incidenti mortali che avvenivano sul catino il giorno delle prove o della gara vennero per alcuni anni conteggiate tra le tragedie della F1. Quanto alla Mille Miglia, fu una storia particolare che i più giovani forse non conoscono. Era una corsa leggendaria, la più famosa del mondo nella prima metà del secolo scorso e la sua particolarità è che si correva sulle strade italiane aperte al traffico anche se quasi deserte. I piloti partivano da Brescia, scendevano lungo le statali italiane fino a Roma per tornare indietro di nuovo a Brescia. 1600 k da fare tutti d’un fiato, correndo di notte e di giorno e coprendo la distanza in meno di mezza giornata.
Il record della Mille Miglia appartiene al compianto Stirling Moss, che nel 1955 con la Mercedes 300 SLR finì la corsa in 10 ore e 8 minuti! Per fare 1600 km. Vuol dire una media oraria di 157 km/h! Su strade statali badate bene, mica in autostrada o in pista. Attraversando paesi, facendo le tortuose strade di montagna della Futa e i passi appenninici e poi spremendo le macchine nei lunghi infiniti rettilinei della pianura padana. Oggi nemmeno col Frecciarossa forse andate da Brescia a Roma e ritorno in dieci ore…
 
Ma in quel 1957 proprio il tragico incidente del marchese De Portago, un nobile spagnolo che faceva di mestiere il pilota, morto assieme al suo copilota al volante di una Ferrari sport nel rettifilo di Guidizzolo in provincia di Mantova, fu l’evento drammatico che pose fine alla storia della Mille Miglia in Italia. Perché nel tragico cappottamento della sua Ferrari causato dall’afflosciamento di una gomma non mori soltanto De Portago con il suo copilota, ma anche nove spettatori fra cui cinque bambini che erano assiepati vicino alla strada per vedere passare le macchine della Mille Miglia e che furono travolti dai rottami della macchina. Quel dramma e quel sacrificio di vite umane innocenti colpì talmente l’opinione pubblica scatenando un’ondata di critiche sulla pericolosità delle corse che furono abolite le competizioni su strade aperte. Da quel giorno la Mille Miglia non si disputò più come corsa e tornò vent’anni dopo soltanto come una specie di raduno ed esibizione storico-celebrativa con auto dell’epoca.
Cancellata la Mille Miglia, però, il “maggio nero” non se n’è andato. La tragedia di Senna, o quelle di Bandini e Villeneuve, sono sempre lì presenti nella nostra memoria a ricordarci la differenza fra l’automobilismo e tutti gli altri sport. Soltanto nel caso delle corse, di auto e di moto, il brivido del gesto atletico va a braccetto con il rischio. In un legame affascinante quanto insidioso.

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