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Sapete cos’è un calembour? È un gioco di parole in cui si divertono molti giornalisti italiani. Perché ne parlo? Perché secondo me un bellissimo calembour è stato l’omaggio di Rombo a Elio de Angelis quando vinse il suo primo GP di Formula Uno nel 1982. Elio era un grande campione. È stato uno dei più forti ma anche sottostimati piloti italiani di F1 degli anni ’80. Abbiamo parlato in tanti di lui ricordando l’anniversario della sua morte l’altro ieri, proprio il 15 maggio di 35 anni fa e anche Sky ha trasmesso un breve omaggio alla sua carriera. Elio era coetaneo di Michele Alboreto, una carriera parallela alla sua accomunati entrambi d una morte prematura. Sempre a fine aprile inizio maggio, come spesso avviene nell’automobilismo dove i mesi aprile e maggio sono considerati quelli “neri” perché la maggior parte delle tragedie avvengono in quell’epoca. 

Purtroppo Elio, pur avendo vinto un Gran Premio di Formula Uno, era meno popolare di Alboreto (e anche di Patrese) fra gli appassionati di metà anni ’80 perché non aveva il boost di popolarità aggiuntiva che guidare una Ferrari può darti (come è successo ad Alboreto). Elio invece ha sempre corso con team inglesi, ha iniziato con Shadow per passare poi alla Lotus fino alla Brabham con cui ha subìto il suo tragico incidente. 

Ma soprattutto a differenza di tanti altri piloti Elio era un signore nel vero senso della parola. Educato, colto, elegante, di buona famiglia, mai un gesto fuori dalle righe. Tranne uno: una ruotata molto aggressiva che nel ’78 diede a Gaillard a Montecarlo alla curva del Loews per superarlo e andare a vincere la gara di Monaco F3. Ma lo assolvo: era più veloce del francese e in palio c’era la più importante gara del mondo di F3 davanti agli occhi dell’intera F1. 

Elio aveva gusti raffinati e sobri: amava suonare il pianoforte, e quando i piloti a Kyalami nel 1982 scioperarono clamorosamente chiudendosi in albergo per due giorni, Elio per far passare il tempo suonò al piano musica per tutti i suoi colleghi. Ve lo vedete un pilota con le mani sporche di grasso e abituato a stringere con forza un volante, far scorrere delicatamente quelle stesse dita sulla tastiera di un pianoforte? Ecco, Elio de Angelis era un po’ una mosca bianca fra gli altri piloti F1 di quell’epoca rude. 


Era un signore,
certo, ma in pista era anche dannatamente veloce. La sua qualità migliore era la consistenza e la tenacia in gara. Ha avuto compagni di squadra scomodi, da Andretti a Mansell a Senna, ma non ha sfigurato con nessuno di loro e spesso li ha battuti. Potete immaginare che inferno sia stato per lui avere al fianco un fenomeno come Ayrton nel 1985, eppure mentre Senna faceva pole a raffica con quella Lotus Renault ma poi gara raccoglieva briciole, Elio in quella prima parte del mondiale F1 1985 ha macinato podio e vittorie (al GP San Marino) e si è trovato addirittura in testa al campionato del mondo. Davanti a Prost, Alboreto, Mansell, Lauda, Piquet e tutti i grandi di allora. Compreso Senna. 

Il casco di Elio con i colori bianco rosso e blu che ha ispirato Jean Alesi che alcuni anni dopo se lo fece uguale

Ma che c’entra il calembour? Beh, quando Elio ha vinto il suo primo Gran Premio di F1, a Zeltweg nel 1982 con la Lotus battendo in volata di pochi cm Keke Rosberg, Rombo – il settimanale di automobilismo diretto da mio padre dove lavoravo all’epoca – ha fatto un titolo di copertina secondo me eccezionale. Il perfetto calembour. Questo nome è un termine francese che indica una specie di figura retorica del linguaggio: un gioco di parole basato sui suoni uguali di certe parole che però hanno significato diverso. Accoppiando queste parole diverse si genera un gioco di parole ad effetto. Il calembour è un modo per attrarre l’attenzione di chi legge, per cui è molto usato  negli slogan pubblicitari. C’era anni fa una campagna del supermercato Esselunga che si basa tutto sui calembour con immagini di ortaggi e frutta e un fioco di parole: ad esempio un aglio con il capello da strega sopra aveva lo slogan “Aglioween”.  Oppure un limone con due occhialini rotondi da John Lennon aveva la scritta: “John Lemon”. 

Il calembour è usato spessissimo anche nel giornalismo. Per fare titoli accattivanti che richiamino la curiosità del lettore. Ma per essere efficace dev’essere semplice. Comprensibile facilmente a tutti. Il problema è che molti giornalisti se la tirano un po’ e mettono nel creare il calembour tutta quella protervia di cui si sentono pervasi. Sembra quasi che centri giornalisti vogliano fare sfoggio di cultura superiore e nel fare un titolo con calembour fanno ricorso a termini o argomenti che conoscono soltanto loro. Per cui spesso il titolo su certi giornali risulta forzato e incomprensibile dalla massa. E il gioco di parole, invece che essere facile da capire ed ironico, diventa semplicemente ermetico. Comprensibile solo dagli adepti e non dalla gente comune che dovrebbe leggerti e capire quello che scrivi. 

E qui arriviamo al calembour su De Angelis scritto da Rombo nel 1982. Mio padre, all’epoca direttore, per omaggiare la vittoria di Elio a Zeltweg fece un titolo da copertina che era un calembour perfetto. Per ironia e semplicità. Alludeva all’origine romana di Elio, alla sua parlata romanesca e storpiava affettuosamente un’espressione conosciutissima in romanesco prendendo a prestito il nome di battesimo di De Angelis. Che sulla copertina di Rombo, con quell’impresa divenne… “er m…Elio” invece che “er mejo” come direbbero a Roma e dintorni.

Io lo considero un capolavoro. Come fu un capolavoro quella corsa di Elio de Angelis a Zeltweg che fece volare per l’ultima volta della storia il cappellino di Chapman sul traguardo.

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