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Torno sul caso Vettel-Hamilton con ulteriori riflessioni perché la faccenda è in evoluzione con la minaccia della FIA di sanzionare ulteriormente Vettel. L’altra sera una trasmissione della RAI ha lanciato un sondaggio fra i telespettatori per chiedere se Vettel o Hamilton dovessero essere sanzionati in un riesame della vicenda. Il risultato è incredibile: appena il 3% hanno detto sì a una sanzione per Vettel, ma ben il 78% era favorevole a un provvedimento contro Hamilton. Ma poi perché incredibile? Siamo in Italia dove l’80% degli spettatori delle gare F1 è tifoso Ferrari. Alcuni obiettivi e competenti, ma la maggior parte vede le cose a senso unico e giudica solo in base al colore della maglia del pilota.

Solo in Italia c’è questa visione pro-Vettel sulla vicenda di Baku. Se andiamo a prendere la Germania, paese da cui viene Vettel (e anche la Mercedes, quindi c’è una sorta di par condicio) si scopre che proprio lì, nella patria di Seb, quasi tutti accusano apertamente il comportamento del loro connazionale.
La conclusione per me è ovvia: in Italia il tifo ha un peso troppo importante nei giudizi degli appassionati perché si possa parlare di giudizio obiettivo. I tifosi ferraristi difendono Vettel per spirito di corpo; accusano Hamilton per via degli antichi pregiudizi nei suoi confronti (in effetti di furbate il caro Lewis ne ha fatte tante in passato).

Ma se vogliamo davvero capire chi ha torto e chi ha ragione cerchiamo per un attimo di svincolarci dalla maglia che indossano i due protagonisti e dalle loro azioni passate. Proviamo ad esaminare freddamente i fatti senza farci condizionare dall’opinione che abbiamo nei confronti del Vettel-uomo e dell’Hamilton-pilota e viceversa.

Mi sforzo anch’io nel fare questo, perché a me Vettel piace e la simpatia potrebbe condizionarmi. Apprezzo Vettel fin dai tempi Red Bull quando tutta l’Italia (ferrarista) l’odiava perché era il nemico. Io invece ne ammiravo lo stile di guida, la velocità, la simbiosi con la Red Bull che lo portava ad ottenere sempre il massimo. Mi ricordava quella di Jim Clark con la Lotus, di Stewart con la Tyrrell, quella di Senna con la McLaren. Un pilota “tagliato” su misura per una certa macchina con cui riusciva ad ottenere prestazioni impossibili agli altri. Una simbiosi totale, sinonimo di perfezione, che purtroppo con la Ferrari per chissà quale motivo non ha ancora raggiunto. Vettel mi sta simpatico per quel carattere ben poco tedesco ma alquanto latino, fatto di escandescenze e impulsività; mi è simpatico anche perché è uno che parla tanto; non è scialbo come Raikkonen o banale come altri. Vettel è colto, tira fuori emozioni, non ha scrupoli a dire cose anche sconvenienti.

Lo apprezzai tantissimo quattro anni fa, nell’ultimo anno della F1 V8, quando in inverno criticò apertamente la tecnologia delle F1 turbo ibride che stavano per arrivare. La Fia all’epoca spingeva le F1 Hybrid come esempio di auto “politically correct” per le corse perché recuperavano energia invece che sprecare benzina. E Vettel invece le contestò: disse che la vera macchina da corsa deve puzzare e fare rumore, sennò che auto da corsa è? Applausi a scena aperta. Per me lo spirito della F1 è fatto di tutti e cinque i sensi: oltre al tatto e alla vista (il gusto magari no…), ci sono anche l’udito e l’odorato. Siamo legati alle corse da ricordi ancestrali che si perdono nel tempo, fatti di profumo di olio ricinato, di sound fragorosi come quello del V12 Matra o del V12 Ferrari che ti facevano tremare il petto. Una F1 che non fa rumore e non fa odore non è per me una vera auto da corsa. Con buona pace della Formula E. Sentirmelo dire da Vettel me lo rese ancor più simpatico.

Al contrario Hamilton mi appassiona meno. Ne ammiro lo stile di guida unico al mondo. La sua velocità pura. Ma quella spavalderia e quell’esibizionismo da rapper del downtown di Detroit, quelle massicce catene d’oro osteggiate, quel protagonismo che sembra deciso a tavolino per costruirne una figura dello star system, mi sembrano lontane dallo spirito dell’iconografia classica del pilota. Poi in privato è anche abbastanza simpatico e gentile. Ma c’è poco da fare: appartiene a una cultura diversa rispetto a noi latini. Eppure, nonostante le mie opinioni personali nei confronti dei due piloti, cercherò di essere obiettivo nel giudicare freddamente i fatti di Baku. Proprio per valutare il comportamento sportivo indipendentemente dalla tuta che portano e dalla simpatia verso uno o l’altro.

La prima conclusione è che Hamilton sotto safety car, in quanto leader della corsa, ha fatto esattamente quanto era nel suo diritto. C’è poco da discutere. Era nelle regole. Al limite delle regole ma dentro le regole. Fare l’andatura significa impostare la direzione, decidere la velocità entro certi limiti, zigzagare nella direzione che vuole per scaldare le gomme, accelerare e frenare sotto SC; cosa che serve sia a portare in temperatura i freni sia a depistare l’avversario. Sì, certo a depistare il rivale dietro. Dov’è lo scandalo? Si fa così da cinquant’anni e lo fanno tutti. È tutto un gioco di riflessi. La ripartenze si vincono sulla sorpresa. Nel cogliere il tempo giusto, nel sorprendere l’avversario. Se accelero prima di te e mi guadagno un bel vantagigo. Io sono davanti e devo cercare di prenderti in controtempo accelerando quando non te l’aspetti. Hamilton aveva tutto il diritto di farlo perché chi è davanti decide l’andatura, sta agli altri evitare guai. È un privilegio che si conquista il primo. Certo, non deve fare “porcate”, tirare imboscate, zigzagare stringendo gli altri contro il muro, ma Hamilton non l’ha fatto. È quello dietro che deve preoccuparsi di restare a distanza per evitare il contatto. Non chi è davanti.

Veniamo alle cose che si rimproverano a Hamilton: hanno detto che si è staccato troppo dalla SC prima della ripartenza. Falso: aveva tutto il diritto di farlo. La regola delle 10 auto di distanza dalla SC da rispettare (50 metri) non vale quando la SC spegne le luci prima del restart. In quel caso è permesso staccarsi per prendere spazio per preparare il restart. Anche perché una F1, con la spaventosa accelerazione che ha, raggiungerebbe subito la SC prima della linea del traguardo. Se uno dovesse starli a meno di cinquanta metri la supererebbe in accelerazione e verrebbe squalificato.

Altra accusa che viene rivolta a Hamilton: ha frenato all’uscita della curva quando non doveva, appena la SC ha spento le luci. Ma la telemetria dice no. Allora i critici ribattono: ha decelerato vistosamente, cosa che equivale a una frenata. Mentre le regole dicono che non deve avere un andamento irregolare (“erratic” in inglese). Cioè rallentare e accelerare. Come sempre è una regola lasciata all’interpretazione. La norma non dice di quanto è lecito rallentare e di quanto no. Non ci sono cifre. In una F1 sollevando appena il piede dal gas con l’effetto freno motore (e le ali che fanno resistenza) si scende facilmente da 85 a 45 km/h come è successo a Hamilton. Quello è frenare? Per me no. È fare andamento irregolare? Opinabile. Ma per me ancora no. Dietro di lui tutti hanno fatto lo stesso; sotto safety car il serpentone delle auto avanza accelerando e rallentando, da che mondo è mondo. Chi dice il contrario e pretende che alla ripartenza si viaggi a velocità costante (ho letto anche questo!) non ha mai visto una corsa e non conosce quello di cui parla. Tutti hanno agito così a Baku, dal primo all’ultimo. In quel giro, in quello prima sotto SC e in quello dopo sempre sotto SC. E non c’è stato nessun incidente. Soltanto uno ha finito tamponare l’altro: Vettel. Come mai?

Secondo me la spiegazione è banalissima: Vettel si è distratto per un attimo. Non è un’accusa ma una constatazione. Aveva troppe cose da fare contemporaneamente (sorvegliare Hamilton, controllare Perez dietro, scaldare le gomme, scaldare i freni ecc) e in quell’attimo non aveva lo sguardo fisso sulla Mercedes davanti a sé.

Proviamo a trasformare tutto in metri al secondo e vedrete che questa teoria è giusta. A 85 km/h una F1 percorre 23 metri al secondo. A 45 ne fa circa 13. Basta che Vettel abbia distolto l’attenzione da Hamilton davanti a lui per 3 o 4 decimi per sorvegliare Perez dietro di lui, che la frittata è fatta. A 85 km/h Vettel stava percorrendo 23 metri al secondo, quindi togliendo lo sguardo per 4 decimi ha fatto 9,5 metri alla cieca. Hamilton ha rallentato in quel momento da 23 metri al secondo a 13 m/sec. Sono proprio i 10 metri che “ballano”. Ed ecco che Vettel, che non ha calato allo stesso modo la velocità, gli si è trovato contro.

Alla fine per me è stato un concorso di circostanze fortuite da cui ne è scaturito un dramma infinito. Hamilton stava cercando di prendere distacco dalla SC e quindi ha rallentato. Magari cercava anche di fare l’elastico su Vettel per sorprenderlo sul tempo. Seb a sua volta tentava di stare il più vicino possibile alla Mercedes perché alla ripartenza precedente si era staccato troppo dalla W08. Nello stesso tempo sorvegliava con la coda dell’occhio Perez che al restart di prima stava quasi per fregarlo. Probabilmente avrà distolto lo sguardo proprio nel momento in cui Hamilton rallentava e lui no. Quindi per me è stata una serie di coincidenze coincidenti. Quello che si definisce “incidente di gara”, cioé non è colpa di nessuno in particolare, ma dell’agonismo.

Diverso il discorso per la ruotata di Vettel. Quella sì che è stata una scorrettezza palese. Specialmente perché fatta in situazione di gara neutralizzata. Non eccesso di agonismo ma vera cattiveria. A Vettel si è chiusa la vena per la rabbia di aver compromesso la corsa a causa della rottura dell’ala anteriore. Questa impulsività ha scatenato il fallo di reazione. È come se Vettel, in una partita di calcio, ostacolato dal difensore a spallate – che nel calcio è ostruzione regolare – per vendetta poi abbia fatto lo sgambetto al rivale a gioco fermo.

Questi sono i fatti analizzati freddamente che mi portano alla conclusione che Vettel è indifendibile perché il suo è stato un gesto di arroganza e prepotenza. Ora il dubbio è: che farà la FIA la prossima settimana? Secondo me lo punirà ancora. Vero che per la gara è stato già penalizzato. Ma la federazione, se ritiene che sia stata lesa l’immagine del campionato e non soltanto il risultato in pista, ha il potere di intervenire. Perché con quel gesto Vettel ha messo in imbarazzo la FIA e Todt soprattutto, che fa della guida sicura e delll’educazione stradale il suo credo, la sua politica. Per questo motivo Todt vuole riprocessare Vettel. Perché con un solo gesto in mondovisione ha sputtanato il lavoro diplomatico di anni di immagine “buonista” che Todt ha cercato di appiccicare addosso alle corse d’automobile che già non godono di tanta buona reputazione.
Ho sentito difensori di Vettel giustificarlo dicendo che la ruotata in fondo l’ha data solo a 30 all’ora, quindi non era pericolosa. Purtroppo è la gravità del gesto di reazione che conta, non il rischio (nullo) che si è corso in pista. Per questo la FIA lo processerà.

Se vogliamo essere maliziosi fino in fondo poi, il presidente della federazione gode del piacere di sentirsi una specie di giudice supremo delle vicende sportive, un deus ex machina della F1 a cui piace sbattere il pugno di ferro per dimostrare chi comanda davvero in F1. Vettel con il suo gesto falloso gli ha dato l’opportunità di intervenire e alzare la voce. Per cui vedrete che Todt non si farà sfuggire questa opportunità.

Vent’anni fa Jacques Villeneuve per aver ignorato una bandiera gialla in qualifica in un GP, fu costretto a fare un lungo avanti-indietro dal Canada verso Parigi e ritorno per testimoniare al tribunale Fia. Non fu un gesto così grave da sanzionarlo nelle gare successive, ma la Fia praticamente lo punì indirettamente costringendolo a uno stressante tour de force con voli intercontinentali dall’America all’Europa e viceversa proprio alla vigilia del GP Canada per infastidirlo apposta quando normalmente in quelle situazioni un pilota cerca tranquillità. E tutto vuole, eccetto fare voli intercontinentali che gli scombussolino col fuso orario l’orologio biologico. Infatti Villeneuve disputò l’indomani una gara scadente e si ritirò per incidente.

Che provvedimento prenderà Todt su Vettel? Nessuno lo sa perché non c’è una vera lista delle sanzioni. È a discrezione della FIA. Di sicuro lo puniranno perché Vettel è recidivo: al GP Messico mandò a fare in culo via radio il direttore di gara perché non aveva penalizzato Verstappen reo di aver tagliato una curva. Non tollereranno un’altra insubordinazione all’autorità del potere sportivo. A Vettel potrebbero togliere i 12 punti conquistati nel GP di Azerbaijan, potrebbero squalificarlo per una gara ma è possibile anche che Todt non voglia condizionare così tanto il campionato alterando la classifica. Magari preferirà umiliarlo in altro modo, costringendolo (come fu fatto nel 1997 per Schumacher) a diventare un testimonial fisso della campagna di sicurezza stradale della FIA e obblighi Vettel ad andare ogni settimana per un anno in tutte le scuole d’Europa a parlare di educazione stradale. Che per un pilota come Seb, che difende in modo ossessivo la privacy e il riposo lontano dai GP, è una punizione durissima.

Qui l’articolo precedente sul caso Vettel-Hamilton

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