Per parafrasare il film di Spielberg (il regista, non la pista), salviamo il soldato Vettel oppure no? Di certo Seb sta facendo di tutto per raffreddare gli entusiasmi dei tifosi attorno alla sua persona. In Gran Bretagna, Seb è tornato ad incappare in uno dei suoi ormai tristemente famosi “errori terribili”. Un errore di guida indegno di un quadri-campione del mondo. Se andiamo indietro nel tempo con la memoria, proprio un anno fa, di questi tempi, Vettel buttò via il mondiale 2018 sbagliando la frenata alla curva Sachs di Hockenheim. Stavolta a Silverstone non ha gettato alle ortiche questo mondiale soltanto perché per il titolo non è mai stato praticamente in corsa. Ma ha buttato via ancora una volta per un errore in frenata un terzo posto che si era costruito con una gara tenace e furba. E con una tattica intelligente frutto della sua testa, non certo delle strategie del box Rosso che ancora una volta aveva fatto cilecca sul piano tattico.
L’incredibile errore in frenata di Seb a Silverstone che lo ha portato a tamponare la Red Bull di Verstappen lo abbiamo visto e rivisto in ralenty mille volte. Lo sbaglio di Seb è palese. Chiaro. Evidente. Ha calcolato male la traiettoria che avrebbe preso Verstappen alla frenata della terzultima curva. Si aspettava che gli lasciasse spazio all’interno ed è andato da quella parte; quando ha visto che l’olandese restava in mezzo, ha provato a cercare spazio a destra ma era troppo tardi ed è rovinato addosso alla Red Bull. Lui stesso lo ha ammesso ed è andato cavallerescamente a scusarsi con Verstappen. Ma la triste realtà è che uno come Vettel non può commettere errori così banali. Un quadri-campione del mondo come lui dovrebbe saperli evitare se non grazie al talento, almeno con l’esperienza. Dovrebbe saper comprendere al volo le situazioni critiche e agire di conseguenza. Fa rabbia pensare ora, a mente fredda, come abbia saputo “leggere” bene dal punto di vista tattico la gara e sia invece incappato in un errore di guida così grossolano.
A questo punto viene un dubbio: qual è oggi il vero Seb? Quello che sbaglia clamorosamente la frenata e rovina addosso a Verstappen o quello che intuisce tatticamente qual è la strategia giusta rifiutandosi di fermarsi nei primi giri al box che lo chiamava a gran voce preferendo andare avanti, visto che le gomme reggevano? In quelle fasi di gara Vettel ha agito da Vettel, anzi da Alonso che era un maestro nell’interpretare tatticamente la corsa. Il suo obiettivo era quello di fare più giri possibile con le soft usurate cercando di andare forte come Leclerc e Verstappen (che avevano su le medie) per trovarsi poi in vantaggio di usura gomme rispetto a loro quando verso il 25esimo giro avrebbe messo su le hard. E nello stesso tempo aspettare un potenziale imprevisto che puntualmente è arrivato sotto forma della safety car che lo avrebbe rimesso in gioco.
È inspiegabile invece vedere Vettel comportarsi da dottor Jekyll e mr. Hyde. In certi casi fa cose incredibilmente buone, talvolta invece incorre in svarioni colossali. A Silverstone ha compiuto degli alti e bassi incredibili per un pilota della sua classe.
I punti negativi sono due: ha compiuto una qualifica scadente rimediando 6 decimi sul giro secco da Leclerc a pari macchina e poi il patatrac della corsa.
Il momento top invece è stato come in gara stava guidando all’altezza della sua classe. Un via eccellente, subito al quarto posto da dove poteva controllare tatticamente l’evolversi della gara. E poi un passo gara veramente ottimo. Teneva agevolmente il passo di Verstappen e di Leclerc. I suoi tempi sul giro erano praticamente identici e sopratutto rispetto a loro non degradava le gomme. Con le mescole soft, le più critiche per la Ferrari, Vettel è andato avanti per 21 giri mentre Leclerc non è riuscito a farle durare per più di 13 giri. Anzi, quando Leclerc ha montato le Medie nuove, Vettel con le Soft consumate girava forte come lui. Non stava guidando male Vettel a Silverstone, tutto il contrario. Fino a quel disgraziato 37° giro aveva fatto una corsa praticamente perfetta visto da dove partiva.
Poi la sua testa, quando Verstappen l’ha superato, ha fatto “click”. Come a Montreal un mese fa. Come a Hockenheim o Suzuka l’anno scorso. E come a Baku 2017. Quindi dov’è il vero problema di Vettel? Nel suo carattere caliente da tedesco-latino, come diceva di lui Marchionne, che gli impedisce di essere freddo e lucido nei momenti topici? O forse nella scarsa confidenza con una monoposto – la SF90 – che ad ogni GP si rende conto di non “sentire” in mano come vorrebbe lui, che non è precisa d’avantreno e gli sfugge dal controllo quando pretende dalla macchina un limite estremo?
Di certo, Vettel non è a suo agio con la SF90 di quest’anno come con la SF70 del 2017. Enzo Ferrari diceva che un pilota F1 quando si sposa e ha un figlio perde un secondo al giro. Figurarsi Vettel che si è sposato un mese fa (per legittimare la lunga relazione con Hanna) e che di figli ne ha due. Ma ovviamente oggi non vale più questa regola psicologica. Cinquant’anni fa era umano e normale che i piloti “sistemati” familiarmente potessero essere indotti ad alzare il piede per diminuire i rischi nelle curve più pericolose visto che in F1 si moriva spesso in corsa. Con le F1 ipersicure di oggi non esiste più che un pilota non si prenda dei rischi perché ha paura di farsi male. Al contrario, è indotto ad osare di più perché si sente protetto.
Conta invece molto di più la confidenza con la vettura. Quella particolare simbiosi con la monoposto che ti porta a pensare di poter osare delle cose al volante (staccate estreme, inserimenti in curva violenti e così via) che compi soltanto quando hai fiducia totale nella risposta della tua macchina. Se la senti ballerina, nervosa e instabile, non ti azzardi a staccare forte oppure a usare lo sterzo in modo aggressivo perché temi che la macchina non ti seguirebbe e potresti perderla senza preavviso.
Questo è il problema di Vettel oggi (ma anche l’anno scorso). Non ha disimparato a guidare, ma quando è al limite ed è costretto a osare un po’ di più (Bahrain e Montreal con Hamilton, Silverstone con Verstappen) e fare cose che una volta con la Red Bull del 2013 o con la Ferrari del 2017 gli venivano magicamente bene, perde la macchina una volta su due.
In più aggiungiamoci altre due cause che scuotono la sua sensibilità. Il confronto che si fa sempre più ingombrante con un compagno di squadra velocissimo, e poi le ricorrenti voci su un suo possibile ritiro, che sono tornate a circolare a Silverstone nel paddock durante il week end e che pilota e team hanno dovuto smentire. Non è vero che Vettel voglia fermarsi: non sarebbe così stupido da buttare via un ingaggio di 30 milioni di euro all’anno. Ma il fatto che girino queste voci lo inducono a pensare che il team, sotto sotto, non lo ami più. E per uno sensibile come Seb, perdere l’appoggio incondizionato della squadra è il danno più grosso per la sua autostima e il suo autocontrollo. Non lo aiuta di certo a ritrovare la serenità perduta.
Ecco il vero dilemma di Binotto. In questo momento la Ferrari può ancora permettersi (di pagare salato) un pilota che non sembra più quel vero leader capace di prendere per mano una squadra in difficoltà e agire da condottiero? Finora il team principal Ferrari aveva alzato una barriera protettiva su Seb garantendogli un ruolo gerarchico da capitano e quindi la precedenza rispetto a Leclerc. Ma ora che i due sono quasi pari in campionato forse le cose cambieranno. E lasciare gara libera ai ferraristi potrebbe rivelarsi la mazzata decisiva sul carattere di Seb. Oppure scuoterlo positivamente, chissà.
Perciò il futuro Ferrari è a un bivio: c’è una strada conservativa e una aggressiva. Maranello deve scegliere in fretta che fare per il 2020. Se vuole insistere su Vettel anche il prossimo anno (anche perché sciogliere il contratto anzitempo sarebbe costosissimo) deve deciderlo subito e fare di tutto per tutelare la serenità del suo pilota. In ogni modo. Anche riprogettando mezza macchina per adattarla il più possibile alla sua guida e accontentarlo. Se invece Maranello ritiene che il ciclo di Vettel ferrarista non possa dare di più, conviene subito farsi due conti in tasca per capire se c’è la possibilità di strappare anzitempo Hamilton alla Mercedes o Verstappen alla Red Bull. Quanto costerà fra penali e ingaggi un simile ribaltone di squadra in chiave 2020? Forse cento milioni? Beh, sono un’infinità di soldi ma tutto sommato per una Ferrari che oggi in borsa vale 10 miliardi e per le ricadute commerciali che il sacrificio potrebbe generare, la mossa potrebbe anche avere un senso. Per John Elkann, erede della dinastia Agnelli che anela di lasciare il segno compiendo qualcosa di grandioso con i marchi di famiglia (Juve in Champions League, fusione FCA-Renault), l’idea di fare la rivoluzione per vincere il mondiale F1 sfuggito a Montezemolo e persino a Marchionne, potrebbe non avrebbe prezzo.
Altrimenti ci si accontenta di giocare di rimessa.
Alla sua domanda, caro direttore, io rispondo di no.
Il tempo passa, l’attualità fagocita tutto e spesso accade di dimenticare. E allora conviene fare alcuni passi indietro.
Nel 2013 il tedesco portava a casa il quarto mondiale di fila, macinando record su record, tanto che Ecclestone si lanciava in paragoni arditi, reputando Seb addirittura il miglior pilota di sempre della F1.
Certo Bernie parlva pro domo sua, ma in quel periodo, senza arrivare a quei livelli, erano in molti a pensare che Vettel fosse imbattibile o quasi.
Poi è arrivato il 2014 a chiarire a tutti che cosi’ non era, con Seb ridimensionato da Ricciardo, che allora era un giovanotto promettente (che in Toro Rosso non è che avesse demolito Vergne,anzi) che si confrontava con un mostro sacro.
Troppi hanno dimenticato quel 2014. Eppure doveva far aprire gli occhi.
Ed eccoci qui 5 anni dopo. La mia opinione è che Vettel ha fallito su tutta la linea.
Era stato preso perchè, al contrario di Alonso, in grado di essere un team player. Peccato che essere leader sia cosa ben diversa. Era stato preso per emulare le gesta di Schumacher e perchè in grado di sviluppare la macchina.
Peccato che l’anno migliore, dal punto di vista del pilotaggio, sia stato proprio il 2015. Da allora alti e bassi. e, ahimè, tanti errori. Perfino nel 2017 (ricordiamoci Baku).
Anche Schumacher ci ha messo 5 anni per vincere il primo titolo piloti in Ferrari. Ma già al secondo anno aveva combattuto fino all’ultima gara (sappiamo tutti come fini’ a Jerez) -cosa mai riuscita a Seb con la Rossa-, nel 98 il titolo fu perso soprattutto perchè Goodyear era ormai inferiore a Bridgestone, mentre con il monogomma nel 99 il titola sarebbe stato probabilmente suo senza l’incidente di Silverstone.
E comunque, anche senza la vittoria del mondiale, in quegli anni si era già creato un gruppo e un metodo di lavoro che avrebbe portato ai risultati straordinari del quinquennio successivo.
Proprio questa è la grande differenza. Dal 2015 non solo non si è vinto, ma non si sono neanche poste le fondamenta per vincere.
A Maranello ormai avranno ben capito che di Schumacher ce n’è uno solo.
Si sono avvicendati team principal, direttori tecnici e responsabili di progetto. Senza risultati, a quanto pare.
Aldilà degli errori (inaccettabili per un quattro volte campione del mondo pagato 30 milioni l’anno), proprio in questo ha fallito Seb.
Non è riuscito ad essere il punto fermo, il faro, il leader che la Ferrari cercava.
Quindi non è indispensabile. Anzi, il fatto che Leclerc, con tutti gli ordini di squadra che ha subito, le sfortune che ha avuto e gli errori che ha commesso (e’ giovane!) sia a soli tre punti da lui nel mondiale piloti deve far pensare.
Il fatto che non sia riuscito in questi anni a dirigere lo sviluppo nella direzione giusta (è ormai una prassi per la Rossa fare il passo del gambero nel corso della stagione) o a cucirsi addosso la macchina significha che: 1) o non è capace (quindi è sacrificabile); 2) o nella F1 di oggi a differenza di quella di ieri il pilota incide poco sullo sviluppo -come invece accadeva ai tempi di Schumy- (e quindi non è poi cosi’ penalizzante affidarsi ad una coppia giovane); 3)oppure la squadra non lo segue (e a maggior ragione non ha senso proseguire, per il bene di entrambi).
L’errore madornale è stato quello di non farsi avanti con Hamilton e Verstappen quando questi erano in scadenza. Prenderli oggi sarebbe un salasso. Con l’acquisti delle ultime due stagioni la Juventus si è esposta molto. Siamo sicuri che gli Agnelli/Elkann vogliano fare altrettanto con la Ferrari?
Con Leclerc in Scuderia Ferrari troverei alquanto Incomprensibile ricorrere all’ingaggio di Hamilton, o peggio ancora di Verstappen Detto questo, sembra sempre più evidente che Vettel oramai non abbia più la padronanza della monoposto in condizioni limite. Probabilmente il confronto con Ham lo ha spezzato, e lo porterà al ritiro
Impensabile ( contratto multimilionario o meno), che ogni qual volta ingaggi una battaglia con Ham finisca fuori pista
La tamponata di Silverstone ha il sapore del de profundis della carriera del “quadri world Red Bull champions ….”
L’unica cosa che stona nella situazione di Vettel in Ferrari in questo momento è il suo ingaggio. Credo che far paragoni con Schumacher sia poco generoso, quella Ferrari era Schumacher ma anche e tanto, Todt, Brawn, Byrne. Era un blocco monolitico, iper rodato, una corrazzatta imbattibile. Vettel è da solo in una squadra dove da qualche anno non ne azzeccano una. Chiedergli miracoli è disonesto. Domenicali, Arrivabene, ora Binotto per non parlare di Cammilleri che sembra piu una macchietta che un presidente. Quanta pressione c’è addosso a Vettel, tutti si aspettano la vittoria da un pilota alla testa di un team che non funziona. Cosa farebbe Lewis con questa macchina? Cosa ha fatto Alonso in condizioni simili. Leclerc ha l’irruenza, la caparbietà, l’incoscienza e la fame di chi deve dimostrare tutto e ha poco da perdere, Vettel ha 4 mondiali in carnet, una reputazione da difendere guidando non una macchina ma un ferro da stiro. Io difendo Seb al netto degli errori di un ragazzo di 32 anni che ha una pressione mostruosa addosso all’interno del team piu difficile in cui vivere in F1. Non mi sorprenderei che tornando in Red Bull rivedremmo il vecchio campione. Non si vincono 4 mondiali per caso e la scusa che li ha vinti su un’astronave come la Red Bull lascia il tempo che trova. Anche Hamilton guida un’astronave.