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A volte basta una settimana per cambiarti la vita. Nel giro di sette giorni Charles Leclerc è diventato il nuovo numero uno della Ferrari, l’idolo dei tifosi del Cavallino e anche la bestia nera di Hamilton. E purtroppo per Vettel, si è anche rivelato un compagno scomodo, veloce e spietato che ne ha ridimensionato le ambizioni e forse pure il futuro ferrarista. In sette giorni Leclerc ha rovesciato le gerarchie interne in Ferrari e con due vittorie autorevoli si è autopromosso a prima guida del Cavallino (mal)trattando Vettel come un gregario e inducendo la squadra a privilegiare lui, che a inizio stagione più volte era stato sacrificato alle esigenze di Seb. In sette giorni Leclerc ha messo insieme due pole e due vittorie. Sulle due piste più leggendarie della F1: Spa e Monza. Sfruttando perfettamente la principale qualità della Ferrari SF90 di quest’anno: la superiore velocità in rettifilo.

Ma cos’ha di così speciale questo ragazzino che non ha ancora compiuto 22 anni e che in pochi mesi ha bruciato le tappe della Formula Uno diventando da poco più che esordiente un campione affermato? Prima di tutto la freddezza, la maturità e l’autocontrollo. Leclerc ha tutto quel che manca al Vettel ferrarista di questi ultimi due anni che anche a Monza è tornato ad incorrere in un errore banale, un testacoda al 6° giro frutto di distrazione, eccesso di esuberanza per recuperare la scia degli avversari davanti a lui dopo una partenza non felice. Vettel era solo soletto quando si è girato in pista. Non era sotto pressione. Non aveva un avversario che lo stava attaccando, eppure ha perso il controllo della sua Ferrari come un novellino. E poi è stato ancora più maldestro nel tentativo di rientrare in pista. Mentre invece Leclerc ha dovuto disputare tutta la corsa con il fiato sul collo delle Mercedes: prima Hamilton per 41 giri poi Bottas per gli ultimi 12. Braccato, incalzato, aggredito dalle frecce d’argento che si sono alternate dietro di lui per mettergli pressione. Ogni volta che guardava gli specchietti, Leclerc vedeva il muso minaccioso di una Mercedes pronta ad attaccarlo. Una situazione più difficile e critica per il giovane ferrarista, che avrebbe stressato e indotto allo sbaglio piloti ben più navigati di lui. Eppure il “ragazzino”, non ha mai perso la calma. Non ha mai commesso errori. Ha dimostrato una freddezza, una maturità e un’autocontrollo incredibili per un pilota che non ha ancora 22 anni e soltanto 34 Gran Premi all’attivo.

È la prova evidente della sua bravura. Mai una sbavatura né un errore, se non un lieve “lungo” al 36° giro, quando è andato dritto alla prima chicane conservando però il comando della corsa. E poi quando Hamilton lo ha attaccato con decisione ha allargato le spalle, ha tirato fuori le palle, lo ha accompagnato sull’erba come a dirgli: “Non credere di potermi passare facilmente: te la dovrai sudare!”. È lì che Leclerc ha dimostrato la sua grande determinazione: non si è fatto intimidire da un campione come Hamilton e gli ha reso pan per focaccia. Il sorpasso subito da Verstappen in Austria con tanto di ruotata, per il quale all’inizio si era lamentato, è servito di lezione. Quel giorno, quando perse la vittoria allo Spielberg disse che ci era rimasto male perché la riteneva una manovra troppo aggressiva. Oltre le regole. Ma disse anche che se le regole si erano di colpo fatte più tolleranti e le ruotate erano diventate lecite, allora si sarebbe regolato di conseguenza. Infatti a Monza non ci ha pensato due volte ad alzare l’asticella delle regole d’ingaggio e spostare Hamilton verso il bordo pista quando Lewis ha cercato di incunearsi alla frenata della Roggia.

È stato Jean Alesi a sventolare la bandiera a scacchi al passaggio di Leclerc sul traguardo a Monza

Ma non solo: Leclerc ha dimostrato di possedere in grande quantità un’altra dote che è tipica dei grandi campioni. È un duro, uno spietato. Nel senso buono del termine, cioé non è un “buono”, uno che porge l’altra guancia. Prima che i tifosi si scandalizzino, è bene spiegare che l’automobilismo è lo sport più individuale che esista. È vero che il pilota fa parte di un team che lavora per lui, ma per diventare un grande campione bisogna essere egoisti e spietati. Non guardare in faccia a nessuno. Nei duelli, nei sorpassi ma anche nei rapporti interni alla squadra. Restituire un favore non fa parte del lessico dei grandi campioni. Se non sei così, non diventi un vincente. Erano campioni spietati Ayrton Senna e Michael Schumacher. Lo è anche Verstappen. Ha dimostrato di esserlo anche Leclerc. Lo si è capito al sabato in qualifica, quando dopo che Vettel gli aveva tirato la scia per permettergli di siglare la pole, non ha fatto altrettanto col compagno adducendo come pretesto il traffico in pista. Ha fatto il “furbetto” Leclerc, sapendo che quel comportamento gli avrebbe permesso di conservare la pole che altrimenti Vettel avrebbe potuto togliergli. Ma per come si è sviluppata poi la gara, ha avuto ragione lui. Vettel la sua chance l’ha sprecata, Leclerc l’ha sfruttata. Il sibillino messaggio via radio del team principal Binotto a Leclerc a fine gara – «Oggi sei perdonato!» dimostra che il team l’aveva perdonato ma con riserva: solo con una corsa stupenda avrebbe potuto cancellare quella prepotenza del sabato. E lui non ha sbagliato.

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