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Era uno dei veri simboli della F1 di una volta. Quella dura e pura. Formata da quei grandi uomini che hanno reso leggendarie la categoria  negli Anni Settanta, prima che arrivassero le industrie automobilistiche a scombussolare le cose. Era quella F1 fatta di nomi mitici, come Enzo Ferrari, Bernie Ecclestone, Colin Chapman, Max Mosley, Ken Tyrrell e Ron Dennis. Frank Williams era uno di loro. E non uno dei tanti ma quello che ha avuto più successo di tutti. Anche se di tutto il gruppo dei “garagisti” inglesi, come li chiamava con malcelato disprezzo Enzo Ferrari (alludendo al fatto che loro non costruivano l’intera vettura ma ne assemblavano i pezzi comprando i componenti sul mercato, motore compreso), Frank Williams era forse quello dalle origini più umili. Il più squattrinato. Quello che era partito più dal basso. Eppure ha vinto tanto. Tantissimo. 16 titoli mondiali fra Piloti e Costruttori in 44 anni di F1. Più mondiali Costruttori lui (9) della McLaren (8) e della Lotus (7).

La squadra Williams a Silverstone in occasione dei festeggiamenti per i 40 anni dalla nascita, nel 2017. Da sinistra la FW08 che vinse con Rosberg il mondiale 1982, la F1 iridata con Piquet nel 1987 e la F1 del 2017

La storia ci insegna quanto Frank Williams abbia dovuto rimboccarsi le maniche. Col duro lavoro e con il tempo, il brutto anatroccolo, malvisto anche dai suoi colleghi, è diventato un cigno splendente. Con un’immensa forza di volontà e inseguendo un sogno ha costruito un grande team vincente e pluridecorato. Che ha portato ben sette dei suoi piloti al titolo mondiale: Alan Jones, Keke Rosberg, Nelson Piquet, Nigel Mansell, Alain Prost, Damon Hill e Jacques Villeneuve.
Però Frank Williams nella sua lunga carriera ha dovuto combattere contro due acerrimi rivali: la mancanza di soldi e il destino che lo ha messo su una sedia a rotelle quando aveva 44 anni. Ma dopo quella tragedia ha avuto la forza di risollevarsi e da tetraplegico guidare il team alla conquista di un nuovo campionato del mondo già l’anno dopo, nel 1987. Il che la dice lunga sulla tenacia e sulla forza di volontà dell’uomo.

Ci sono state tre epoche ben precise nella storia di Frank Williams: gli inizi, con la vita stentata nelle corse fatta di espedienti e sotterfugi per sbarcare il lunario, da fine anni Sessanta a metà anni Settanta; poi quella dei primi successi grazie ai soldi raccolti presso gli sponsor arabi, periodo che è andato dal 1977 fino al 1986, anno del suo incidente in auto. E infine il terzo periodo, il più glorioso ma triste: in cui ha raccolto successo e guadagnato tanto denaro in F1 ma che lo ha anche reso tetraplegico.
Oggi tutti ricordano l’ultimo Frank Williams, il manager che nonostante fosse immobilizzato su una sedia a rotelle, riusciva a guidare la sua squadra con piglio forte e determinato. Un’epoca di trionfi serrati, con 5 mondiali Piloti vinti in appena dieci anni, da Piquet a Jacques Villeneuve. Ma anche di tragedie come la morte di Ayrton Senna a Imola a causa di un guasto tecnico di cui la squadra porterà sempre dentro di sé il rimorso. Ma il primo Frank Williams, quello che si barcamenava per riuscire a schierare in pista le sue monoposto prendendo pezzi di ricambio a prestito da amici e rivali, e che viveva alla giornata utilizzando una cabina telefonica stradale come collegamento per i contatti di lavoro perché non aveva nemmeno i soldi per affittare una sede, pochi lo conoscono.

Frank Williams nel 1969 agli albori della carriera di team manager in F1 con le auto del suo team: una F3, una F2 e una Brabham F1 (al volante, di spalle, Piers Courage)

Frank Williams era un inglese atipico che non aveva nel sangue la spocchia e la protervia di molti suoi connazionali. Parlava diverse lingue fra cui italiano, tedesco e persino un po’ di arabo. Era questa capacità di esprimersi gche li permetteva di ammaliare con le sue visioni da sognatore in grande gli interlocutori che venivano conquistati dai suoi modi suadenti. Entrò nel mondo delle corse nel 1966, quando fondò la sua prima scuderia per far correre auto di F3 e F2, poi nel 1969 approdò finalmente alla F1. Che allora era ben diversa dal mondo scintillante di oggi.
È in quegli anni che imparò bene la lingua italiana, perché fra il 1965 e il 1970 Frank Williams veniva spesso in Italia portando di nascosto pezzi di ricambio per auto da corsa inglesi per rivenderle a tutti i piloti italiani che gareggiavano con le piccole formule e che non riuscivano ad acquistare oltre Manica i ricambi di cui avevano bisogno.

A furia di contrattare e scambiare soldi in cambio di ingranaggi, cambi, freni e frizioni, Williams riusciva a mettere insieme quei quattro soldi per sbarcare il lunario e pagarsi l’attività del suo team. Imparò sul campo l’arte della trattativa d’affari, del business e del mercanteggiamento. Che si rivelò molto utile quando un decennio dopo ebbe a che fare con i munifici sponsor dei paesi arabi che però, come tutti gli abitanti di quei luoghi, amano mercanteggiare quando si tratta di fare business. Tale era la sua frequentazione dell’Italia che nel giro delle corse lo chiamavano, o si faceva chiamare, Franco Guglielmi. La traduzione esatta del suo nome in italiano.

Frank Williams con Arturo Merzario e la F1 Iso-Marlboro nel 1974

L’Italia ebbe un ruolo chiave nell’ingresso di Frank Williams in F1. Perché la prima vera F1 che schierò in pista (salvo una parentesi nel 1969 con una Brabham di seconda mano) fu la De Tomaso F1, una monoposto finanziata dal costruttore Italo-argentino di auto stradali, assemblata e gestita da Frank e affidata al suo fraterno amico pilota Piers Courage. L’avventura ebbe purtroppo fine quando Courage morì nel 1970 al GP d’Olanda di Zandvoort in un cruento incidente in cui il pilota inglese fu divorato dalle fiamme.
Due anni dopo, la carriera traballante di Frank Williams ebbe una svolta grazie all’incontro con Arturo Merzario, che aveva conosciuto e fatto correre nel 1971 in F2 nella Temporada brasiliana di fine stagione. Merzario presentò a Williams sia Gian Paolo Dallara che Piero Rivolta, il proprietario del marchio Iso Rivolta, e pure i responsabili della Philip Morris in quel periodo ben disponibili a investire soldi in F1. Il sodalizio decise di costruire una F1 gestita da Frank Williams e pilotata da Merzario, che avrebbe corso con il nome Iso e i colori Marlboro.

Merzario in azione a Monza nel GP d’Italia 1974 con la Iso-Marlboro del team Williams

L’avventura andò avanti per un paio d’anni tra alti e bassi. Allora Williams già battezzava le monoposto che costruiva con le proprie iniziali: FW01, FW02, FW03 e così via. Anche se le macchine non si chiamavano Williams, ma con i nomi dei vari sponsor: De Tomaso, Politoys, Iso-Marlboro. L’ultima fu la Wolf, che venne finanziata nel 1976 da un magnate austro-canadese appassionato di corse, Walter Wolf introdotto nel giro da Merzario e da Piero Rivolta. Questo ricchissimo imprenditore rimase colpito nel vedere come la squadra si arrabattava con pochi ricambi e materiale obsoleto, così decise di supportare il team. Per prima cosa accompagnò Merzario e Williams alla sede della Cosworth dove acquistò di tasca sua due motori V8 Ford Cosworth nuovi di zecca per il resto della stagione. Per la prima volta nella sua carriera di team manager, Williams poteva contare su materiale fresco e competitivo per le sue auto da corsa. Una svolta!
Poco dopo Wolf assunse il controllo del team: rilevò tutto il materiale da corsa di Lord Hesketh dopo la disgregazione del team, confermò Merzario come pilota, ingaggiò Postlethwaite come progettista e diede a Frank il ruolo di direttore sportivo.

Merzario nel ’76 con la Wolf F1, squadra di proprietà di Walter Wolf per cui Williams faceva il direttore sportivo

Quel sodalizio però durò poco perché Williams, abituato a dirigere in prima persona la propria stessa squadra, mal sopportava l’idea di dover rispondere a un padrone come Wolf. Dopo un anno, ognuno preferì andarsene per la propria strada. Wolf tenne con sé Postlethwaite e assunse Jody Scheckter. Williams invece fondò una nuova squadra che per la prima volta chiamò col proprio nome e basta: Williams Grand Prix. Per costruire l’auto si affidò a un giovane tecnico: Patrick Head che divenne da quel momento il suo socio storico. Per la sua nuova squadra, Williams voleva un giovane italiano, Riccardo Patrese che si era messo in luce al suo primo anno in F1. Ma Riccardo aveva già scelto l’Arrows. Così Frank ripiegò su quello che era il compagno di squadra di Patrese, Alan Jones, un australiano duro e rude che legò molto con Williams e tre anni dopo divenne il primo pilota a far vincere un titolo mondiale a una Williams F1. Nel 1980.

La prima vera Williams F1 fu la FW07 del 1978. Qui Frank con Patrick Head, il progettista

Nel frattempo Williams aveva finalmente trovato i primi sponsor. Sempre grazie all’Italia e a un imprenditore italiano, Piero Achilli, un concessionario in Italia di molte auto di lusso come Ferrari, Bentley, Rolls Royce. Achilli aveva aperto una sede in Arabia Saudita, che grazie al petrolio stava diventando uno stato ricchissimo. E nel corso di un viaggio presentò a Frank Williams una facoltosa famiglia di principi sauditi, i Bin Laden. Sì, proprio la famiglia il cui rampollo sarebbe diventato il terrorista numero uno del mondo negli anni Duemila. Ma all’epoca, fine anni settanta, i Bin Laden non facevano altro che gestire gli enormi proventi del petrolio e la compagnia aerea di bandiera, Saudi Arabia airline. Tramite Achilli che fece da intermediario, l’abile negoziatore Frank Williams convinse gli arabi a investire quelli che per loro erano spiccioli, ma che per Frank Williams rappresentavano un capitale, nella sua squadra F1. E da quel momento, con i soldi degli arabi – era il 1978 – la Williams F1 decollò e scalò rapidamente i gradini del successo. Nel 1979 arrivò la prima vittoria in F1, con Regazzoni al GP d’Inghilterra. E solo il particolare regolamento F1 che divideva il campionato in due semi-stagioni con scarto di punti impedì alla Williams, che infilò quattro vittorie di seguito nel finale di stagione, di trionfare già quell’anno nel mondiale. Ma Frank Williams dovette aspettare poco per il suo primo titolo iridato: nel 1980 sei trionfi di Jones e Reutemann portarono a sir Frank il doppio titolo mondiale Piloti e Costruttori. Erano passati soli dieci anni dal timido esordio di Frank Williams in F1 con la De Tomaso. Il resto, dall’era Piquet a quella Mansell, Prost e Damon Hill, è storia che conosciamo.

Frank Williams con Keke Rosberg, nel 1985 durante il sodalizio con la Honda. L’anno dopo Williams subirà il famoso incidente stradale che lo rese tetraplegico

Ma nel ricordare Frank Williams, non possiamo non fare caso ad una coincidenza drammatica. Sia lui che il primo pilota a far vincere un GP F1 alla Williams, Clay Regazzoni, sono stati colpiti dal medesimo destino a pochi anni di distanza: sono rimasti paralizzati in un incidente. Successe in corsa per Clay (al GP USA di Long Beach); accadde invece su una normalissima strada – al rientro dai test di marzo al Castellet – per sir Frank. Che pagò con lo schiacciamento delle vertebre cervicali la sua ossessione per la sicurezza. Lui infatti indossava sempre le cinture, anche quando non erano ancora obbligatorie. E proprio quelle cinture, che hanno salvato tante vite sulle strade, lo hanno invece condannato alla paralisi perché l’hanno imprigionato nel ribaltamento dell’auto e lo schiacciamento del tetto l’ha ferito alle vertebre senza scampo. Mentre il suo direttore sportivo, Peter Windsor che era al volante dell’auto ma non si era legato con le cinture, fu sbalzato dall’auto nell’impatto e ne uscì incredibilmente indenne.

Triste paradosso: proprio sir Frank Williams è stato costretto per gran parte della propria esistenza sulla sedia a rotelle. Lui che era uno sportivo, uno che amava la corsa podistica e che quando ancora non andava di moda come oggi, praticava jogging tutti i giorni sui circuiti nei week end di gara.
RIP sir Frank.

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