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L’incidente in Bahrain alla terza curva del GP ha tenuto tutti col fiato sospeso. Si è rivisto il fuoco, come non accadeva da trent’anni in F1. L’ultima volta a Imola ’89, con Berger che andò a sbattere contro il muro del Tamburello. Proprio come Berger allora, Romain Grosjean se l’è miracolosamente cavata. Con qualche contusione alle costole e lievi bruciature alle mani e caviglie, meno ancora di Berger quel giorno del 1989.
La dinamica è spaventosa: accade nel rettifilo tra la curva 3 le la curva 4, con le auto in piena accelerazione oltre i 240 km/h. Davanti a lui tre macchine si ostacolano, lui scarta a destra per trovare spazio, ma taglia la strada a Kvyat dietro di lui che lo tocca alla posteriore destra, e prosegue dritto contro il guard rail con un’angolo di 70/80 gradi. La Haas si schianta e si spezza in due: il motore resta in pista, l’abitacolo sfonda il guard rail. Il serbatoio, spezzato, esplode in una palla di fuoco. Quel fuoco che non si vedeva in F1 da trent’anni. E pareva sconfitto per sempre dai serbatoio di gomma antifiamma. Ma quando il recipiente si spezza e le condutture fanno uscire fuori benzina, nessun serbatoio, anche il più resistente e sicuro, può far niente. La benzina ha preso fuoco all’istante. Si è rivisto il fuoco, il pericolo numero 1 per le corse di una volta. Quello che tutti i piloti temevano. Perché una volta al minimo impatto le scintille facevano prendere fuoco alla benzina. Hanno perso la vita in F1 per le fiamme, intrappolati nella monoposto distrutta e incendiata, tanti campioni: da Bandini a Williamson a Pedro Rodriguez e tanti altri.
Poi con l’evoluzione della sicurezza in F1, con i serbatoi benzina collocati posteriormente dietro l’abitacolo in posizione protetta e non più laterali, e avvolti da una scocca super resistente in carbonio, il fuoco sembrava essere scomparso dalla F1. Proprio l’incidente di Berger nel 1989 con le fiamme che scaturirono all’istante appena la Ferrari colpì il muro, fu dovuto al fatto che su quella Ferrari 640 parte del serbatoio era ancora laterale e quindi più esposto agli urti. Dopo di allora non fu più permesso. Incidenti gravissimi, impatti violentissimi (quello di Senna fa ancora storia) ma mai s’era più visto il fuoco. Terrore numero uno delle corse. Il fuoco che è un terrore atavico dell’uomo fin dall’antichità, e metteva paura perché evocava dolore, spavento, nessuna possibilità di fuga per sottrarsi alle fiamme. Oggi invece il fuoco è ricomparso in F1. Suscitando terrore e sgomento. Spaventando tutti quanti, specie quelli che si sono avvicinati alla F1 di recente e non conoscevano questo retroscena antico, drammatico e quasi dimenticato delle corse.
Se oggi non stiamo a piangere una nuova tragedia, è merito di una serie di circostanze: primo è l’halo, l’arco di acciaio che ha protetto la testa del pilota nell’impatto impedendogli di perdere conoscenza nell’urto e consentendogli di uscire. Altrimenti con le altissime fiamme che si erano generate, nessun pompiere darebbe riuscito ad estrarlo da lì in pochi secondi.
L’altro merito è dei soccorritori: L’altro merito è dei soccorritori: Alan Van Der Merwe, l’ex pilota che guidava la safety car medica che segue il gruppo nel primo giro e soprattutto il dottor Ian Roberts che sedeva sull’auto medica al suo fianco. I due sono entrati in azione dopo pochi istanti: tutti e due, e soprattutto Roberts, si sono gettati verso l’auto per aiutare il pilota lambendo le fiamme per allungare una mano a Grosjean e aiutarlo a scavalcare il guard rail in mezzo al fuoco. Protetti per fortuna dalle tute ignifughe.
E infine la scocca di Dallara: che ha salvato la vita al pilota in un impatto devastante. Si è spezzata l’auto ma la cellula di sicurezza è rimasta intatta e ha permesso al pilota di uscire da quell’inferno con le proprie gambe.
All’inferno e ritorno. Oggi possiamo dirlo con un sospiro di sollievo. E se non stiamo qui a piangere un’altra vittima del fuoco in F1 è merito di chi ha sempre lavorato per la sicurezza anche a dispetto di quegli appassionati nostalgici che mal giudicavano certi eccessi protettivi sulle monoposto che sembravano svilire il ruolo eroico del pilota. Invece avevano ragione loro.

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