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E se Hamilton, esasperato per il mancato rinnovo del suo contratto con Mercedes, imitasse il suo idolo Senna? Un contratto con Mercedes soltanto gara per gara? L’aveva clamorosamente fatto Ayrton quasi trent’anni fa, nel 1993, ai tempi in cui era ai ferri corti con McLaren. Esasperato dal fatto che Ron Dennis non riuscisse a fornirgli una macchina ed un motore competitivo all’altezza del suo prestigio, Ayrton nel suo ultimo anno in McLaren decise un comportamento intransigente. Pretese un contratto race by race, gara per gara. Con un compenso faraonico per l’epoca: un milione di dollari a corsa. Sedici gare, sedici milioni di dollari. Sapendo di essere il migliore e convinto di avere il coltello dalla parte del manico, Senna teneva sulle spine Dennis fino all’ultimo. E soltanto al giovedi pre-Gran Premio decideva se quel week end avrebbe guidato la McLaren o no e sottoscriveva il contratto per scendere in pista il giorno successivo. Impegno che veniva profumatamente compensato ma aveva valore soltanto per quel determinato week-end. Un milione di dollari per tre giorni di guida. Poi alla gara successiva si ricominciava da capo. Nuova trattativa e nuovo contratto da firmare. E così di seguito per tutta la prima parte della stagione 1993. Un comportamento con cui Senna è riuscito a sfibrare Ron Dennis che alla fine, a metà campionato, ha accettato tutte le condizioni poste dal brasiliano.

Certo, nella F1 di oggi le regole e gli obblighi sono diversi rispetto a quella Formula Uno eroica e un po’ cavalleresca dei primi anni Novanta. Però la situazione attuale di Lewis Hamilton ricorda da vicino quella di Senna del 1993. Mancano 35 giorni all’accensione dei motori delle F1 per i primi test pre-campionato in Bahrain (12 marzo) e formalmente il campione del mondo in carica è ancora fuori dalla lista degli iscritti. Il contratto fra Hamilton e la Mercedes è scaduto il 31 dicembre 2020 e ancora non c’è l’annuncio di un rinnovo. Ci sono stati continui rinvii. Per mesi le due parti sembravamo vicine all’annuncio invece mai un accordo. La vicenda ormai è diventata una telenovela perché si trascina da mesi. Si era detto che l’ufficializzazione del rinnovo di Hamilton sarebbe arrivata prima dell’ultima gara del mondiale 2020 ad Abu Dhabi invece niente. Lewis si è preso il Covid, poi è guarito, l’ultimo GP è passato senza annunci, è arrivato il Natale poi il Capodanno. Nulla. Tra un po’ sarà Carnevale ed Hamilton è ancora formalmente a spasso. Da quanto tempo un campione del mondo in carica era disoccupato a un mese dal via del mondiale? Nel bene o nel male, il 2 marzo quando la Mercedes presenterà la nuova W12 il dubbio si dovrà sciogliere. Ma per ora ancora nulla. Prendiamoci un attimo per spiegare perché si è arrivati a questo punto.

Di solito a metà stagione i piloti top in scadenza di contratto avviano già le trattative per l’anno successivo. E verso settembre l’accordo si conclude. Invece, nel caso di Hamilton, le cose sono andate diversamente per una serie di motivi. Primo, perché il ritardato inizio del mondiale 2020 ha fatto slittare i normali tempi delle trattative; secondo, perché dopo poche gare Lewis aveva già ucciso il campionato, quindi il team non aveva molto interesse a forzare i tempi tanto il titolo non era a rischio; terzo, c’è da considerare che il team principal della Mercedes, Toto Wolff, era anche lui nel 2020 in scadenza di contratto per il futuro (poi ha rinnovato); quindi che interesse poteva avere un capo a mettere pressione al suo dipendente per rinnovare se lui stesso non era sicuro di restare nel team? Infine va tenuto presente che la Mercedes, per tutto il 2020, è stata è stata in dubbio se restare o no in F1 a lungo termine. Il contratto con Liberty Media la legava fino al 2022 ma non oltre.

Ola Kallenius, Ceo della Daimler, con Lewis Hamilton

Il nuovo capo del gruppo Daimler (di cui fa parte Mercedes), Ola Kallenius, succeduto a Zetsche due anni fa, è un tecnocrate che non ama le corse e dà la precedenza al business e all’equilibrio finanziario della società. Vero è che la Mercedes è azienda ricca e che macina soldi a palate: nel 2019 il fatturato complessivo del gruppo Daimler si è attestato su 172,7 miliardi di euro (!); ma nel 2020 a causa della pandemia, le vendite di auto Mercedes sono calate del 7,5% con un totale di 2,164 milioni di auto vendute, quando invece priam del Covid le speranze erano di arrivare a quota 2,5 milioni. Soprattutto è stato ancor più elevato il calo di vendite in Europa e Usa: oltre il 16% in meno. Proprio nei due mercati più importanti dove c’è l’effetto pubblicitario della F1 che evidentemente non si è sentito troppo.

In più la Mercedes, come tutti i costruttori d’auto, sta investendo miliardi e miliardi per elettrificare la propria flotta di auto nei prossimi cinque anni per rispettare le normative europee sulle limitazioni delle emissioni di CO2 pena multe di centinaia di milioni. Nasce per questo, anche a livello d’immagine, l’impegno nei campionati più eco-sostenibili come la Formula E. E la F1? Kallenius alla fine ha rinnovato con Liberty Media l’impegno della Mercedes in F1 solo la scorsa estate e l’ha fatto perché è stato approvato definitivamente il budget cap che limiterà a 145 milioni l’anno le spese stagionali dei team F1 (ingaggi dei piloti esclusi). Per Mercedes che ne spendeva più di 400 l’anno, significa risparmiare quasi trecento milioni l’anno. Un terzo del costp precedente.

Lo sponsor Ineos, (in rosso sul periscopio Mercedes) potrebbe pagare lui l’ingaggio 2021 di Hamilton

Una bella boccata d’ossigeno perfettamente in linea con la ricetta annunciata da Kallenius per rendere più efficiente l’azienda Mercedes: tagliare i costi materiali e el personale di 1,4 miliardi entro il 2022. Capito? 1,4 miliardi. Perciò in questo scenario come pensate abbia potuto reagire il capo della Daimler quando Hamilton per rinnovare il contratto ha chiesto prima un quadriennale (quindi fino al 2024 compreso) poi un biennale per una cifra attorno ai 40 milioni di dollari a stagione? Vuol dire che il pilota, da solo, costerebbe un terzo di quanto tutta la Mercedes dovrebbe spenderà per tutto il team per tutto l’anno. Costruzione della macchina, sviluppi, trasferte e logistica. Paradossale no? E poi vorrebbe scegliersi anche un compagno di squadra “comodo” sbarrando così la strada a Russell.

Ecco perché la trattativa contrattuale di Hamilton è stata congelata. Il capo della stella vuol spendere meno, ma molto di meno per il suo pilota di punta rispetto alle richieste. E ha controproposto un contratto di un solo anno al massimo con opzione. Non vuole blindarsi con un impegno pluriennale oneroso quando il mondo dell’automotive e della F1 sta cambiando così rapidamente le regole di mercato e presto introdurrà anche un tetto salariale agli ingaggi dei piloti.

In ogni altro momento storico della F1 Hamilton avrebbe potuto permettersi il braccio di ferro, ma questa volta no. Primo per via della crisi economica e del rigore nei costi che si sono autoimposte aziende e squadre; secondo perché l’exploit di Russell in Bahrain ha dimostrato che basta la macchina per vincere, non serve un superpilota. Allo stato attuale con una Mercedes vincerebbe anche un altro pilota. Magari non dominerebbe come Lewis, ma potrebbe facilmente battersi per il titolo. A un decimo del costo di Hamilton. Perciò la forza contrattuale di Lewis Hamilton nella trattativa è venuta meno.

È su questi punti di partenza molto lontani fra loro che si è innescato il braccio di ferro che neanche le feste natalizie hanno sciolto. Come finirà? Probabilmente Hamilton dovrà scendere a patti perché non ha alcun asso nella manica. Dovrò trovare un compromesso. Accetterndo un compromesso sulla durata del contratto e sul compenso. A meno che, come ipotizzavo in apertura, non s’inventi un colpo di teatro. Fare come Senna nel 1993. Un contratto gara per gara. Profumatamente pagato ma da rinnovare gara per gara. Senza certezze di durata ma garantito soltanto dai risultati. Sarebbe certo un contesto tutto nuovo per lui che ha vinto tutto e che cerca nuove sfide per tenere alta la motivazione. Almeno salvaguarderebbe lo stipendio elevato, che comunque è il suo primo obiettivo per un fatto di orgoglio e perché non vuole svendersi guadagnando meno del passato. Se Senna trent’anni fa chiedeva un milione di dollari a gara, lui potrebbe chiederne addirittura due visto che i tempi sono cambiati. Porterebbe a casa così sempre la quarantina di milioni che pretende ma rinunciando alla comoda sicurezza di un pluriennale. Dovrebbe però garantire sul campo, con vittorie e giri veloci, di valere davvero il plusvalore che chiede. Ma pensate che eco mediatica uscirebbe fuori per il team, specie per Ineos, lo sponsor inglese della W12.

 

Solo che i tempi sono cambiati dall’epoca di Senna. Ayrton in quel 1993 aveva il coltello dalla parte del manico nella trattativa. La Honda aveva abbandonato la F1 e Dennis, per tenerselo stretto, gli aveva avventatamente promesso a metà ‘92 un motore competitivo per l’anno successivo facendogli perdere altre opportunità di cambiare squadra (Ferrari e Williams). Poi Dennis non riuscì a trovare sul mercato un motore vincente: provò prima con il V12 Lamborghini poi con i Ford HB ufficiali ma subì il veto di Briatore). Per cui Senna, resosi di conto avere nel 1993 una McLaren spuntata, per placare il proprio orgoglio ferito chiese e pretese un contratto gara per gara chiedendo il famoso milione di dollari a gara. A fine anno sarebbero stati sedici milioni se il contratto race by race, che venne sostituito da uno definitivo a metà stagione, fosse andato avanti. Ma Senna poté permettersi quel braccio di ferro perché la McLaren non aveva alternative. Si sentiva il miglior pilota sulla piazza e riteneva una grave mortificazione professionale dove guidare una monoposto con un motore Ford “clienti” e uguale a quello che qualsiasi altro team poteva acquistare sul mercato, ma che regalava 60/70 cavalli agli avversari. E non godere invece dell’appoggio di un motorista ufficiale.

Il paradosso è che quel “capriccio” caricò a mille la voglia agonistica Senna che in quell’inizio 1993 disputò alcune delle sue gare più belle: correndo “a gettone” vinse tre delle prime sei gare di quel campionato e conquistò anche quella memorabile vittoria sul bagnato a Donington entrata nella storia per quel formidabile primo giro con cinque sorpassi. Il milione di dollari a gara di Dennis sono stati certamente ben spesi.

Hamilton invece si trova invece è in una situazione ben diversa. Non ha assi nella manica nella trattativa con Mercedes e non può nemmeno permettersi, a 35 anni, di rischiare un anno sabbatico. Il tempo passa anche per lui e c’è un sacco di gente desiderosa di sedersi sulla sua Mercedes. Quindi accetterà di certo qualche compromesso pur di avere la possibilità di cercare di vincere l’ottavo titolo iridato che lo farebbe entrare nella leggenda. Poi nel 2022 si vedrà. Senna dopo quel braccio di ferro lasciò la McLaren perché certi bracci di ferro a lungo andare logorano i rapporti. A Hamilton succederà lo stesso?

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